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Sugli 80 € in busta paga… Ovvero riguardo al labile confine tra propaganda ed azione.

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L’anatema contro l'”elemosina di Renzi” di Pelù al concerto del I Maggio, che personalmente ho ritenuto del tutto fuori luogo, ha avuto senza dubbio il merito di farmi riflettere sulla misura e l’impatto deflagrante di una tale mossa e, più in generale, su quanto sia sottile il confine tra propaganda ed azione politica.

Checché ne dica quel Pelù, che ormai davvero non ha più la voce dei bei tempi andati, il taglio dell’Irpef attuato da Supergiovane è esplosivo. Perché vi chiederete voi. Cosa avrebbe di diverso questo taglio di tasse rispetto ad analoghi provvedimenti attuati dai governi precedenti? Ecco. Due secondo me sono le riflessioni da fare. La prima è come al solito pragmatica e che riguarda la pancia piuttosto che la mente. Il denaro è denaro. Sporco lurido denaro. Quando un Governo restituisce qualcosa allo strato medio/basso della popolazione, soprattutto quando quel qualcosa non sono semplicemente briciole come pensa quel grigione di Pelù, si consente ai beneficiari di “riempirsi un po’ la pancia” o di sanare qualche arretrato o più in generale di farne no matter what. Il secondo aspetto, che è più interessante, è il potenziale esplosivo di questa mossa. Esplosiva sì, mi sbilancio. Esplosiva perché ha messo in subbuglio più o meno tutte quelle strutture della nostra società che vivevano e vivono nell’ombra dell’immobilismo. Incredibile, ma vero. Una mossa largamente approvata dalla popolazione è motivo di conflitto col sindacato, che non riesce a digerirla, con gli apparati dello Stato, che hanno difficoltà ad attuarla, con le imprese, che non ne vedono vantaggi evidenti e con le corporazioni, che si sentono defraudate. Sta tutta qui la questione. Il taglio delle tasse di Renzi scontenta coloro che avrebbero nel loro statuto la difesa della popolazione perché mette a nudo l’incapacità di costoro nel rispondere alle necessità di una popolazione in questi anni più che mai indebolita ed impoverita dallo stato comatoso in cui siamo venuti a trovarci. Con buona pace dei sindacalisti, un taglio dell’IRPEF come questo a conti fatti è un risultato migliore e maggiormente tangibile di quanto ottenuto in quindici anni di concertazione e di contrattazione collettiva. A conti fatti, in Italia il 60% dei dipendenti privati ha contratti collettivi scaduti e/o non rinnovati e la mossa di Renzi restituisce nelle tasche di coloro che hanno redditi più bassi ben più degli aumenti legati all’inflazione, che sono poi gli unici obiettivi visibili raggiunti dagli accordi sindacali. Certo, tanti ne sono ancora esclusi. Incapienti, pensionati, liberi professionisti, ecc. ma da qualche parte dovremmo pure cominciare o no? 

Come dicevo nel titolo, insomma, il confine tra propaganda ed azione è quanto mai labile, ma perché dovremmo mettere in discussione una mossa pensata in ottica propagandistica se questa ottiene come effetto risultati reali nelle tasche di buona parte di noi?

Bah, misteri dell’Italietta. 

Dialoghi di attualità… dalla palude italica

Unknown

Dopo il primo voto per l’elezione dei presidenti di Camera e Senato…

Rispettosa massaia della palude: “Qui si è perso il lume! I grillini sono andati a fare i balocchi? Diamo loro ancora una votazione di tempo, ma poi non penso si possa che far scontare la responsabilità a quei cittadini nel futuro dell’Italia. E Grillo? Paradossalmente non è da nessuna parte, eppure governa il suo partito che, in teoria, dovrebbe essere un servizio a disposizione del paese. Mi devo essere persa qualcosa”.
Mezzuomo: “Primi scricchiolii tra i grillini?”

… Elezione conclusa. Abbiamo i nuovi presidenti… E intanto in una sperduta isoletta del Mediterraneo…

Rispettosa massaia della palude: “Minchia! Fosse passato Schifani per colpa di quei nuovi burattini…! Meno male qualcuno ha almeno un carattere costruttivo. Riminchia! Grazie anche ad alcuni con un po’ di senno, s’ha du’ presidenti con i controcoglioni e di cui, dopo tanto tempo, essere orgogliosi. Almeno per oggi si può vedere il bicchiere mezzo pieno. Che sia pure l’inizio di una nuova illuminazione dello zoccolo duro del PD? Che sia la foto degli attuali rapporti di forza all’interno di quel partito?”

Mezzuomo: “Sì, bicchiere mezzo pieno. Io però ci vedo anche qualcos’altro. Non sarà che Bersani stia cercando il modo di uscire di scena? Considera che la “prassi” della fiducia al governo presuppone che in caso di assenza della stessa e conseguente necessità di formare un governo tecnico, governissimo, o quant’altro, il presidente della Repubblica dia un incarico esplorativo al presidente del Senato… Ecco, una figura come Grasso, pur non avendo esperienza politica romana, potrebbe essere una persona che scompagina le carte del M5S… Per cui… In settimana prossima sapremo.”

Dottor C: “Secondo me la migliore mossa che potrebbe fare Pierluigi è fare un passo indietro, non candidarsi come presidente del Consiglio, ma proporre, anzi direi “far emergere” (come ha già fatto per le camere), un nome che raccolga un consenso più ampio di quello delle sole fila PD. Questa è l’unica strada percorribile, l’unica che potrebbe veramente mettere da parte definitivamente 20 anni di berlusconismo. E per fare questo, il fatto che il M5S non sia un partito gioca a favore del PD, non a sfavore. È l’unica strada percorribile. Ah, e niente Renzi, ovviamente!”

Rispettosa massaia della palude: “Concordo. Oltre a essere l’unico partito, se ciò si avverasse, Bersani sarebbe la persona che più di ogni altra avrà mostrato umiltà e rispetto per il paese, come peraltro dovrebbe essere la linea comportamentale di ogni politico. P.S. Chi presidente della Repubblica? D’Alema? Alloraaaaaaaaa…!”

Mezzuomo: “Se Bersani se ne esce di scena è un signore. Non credo però che avverrà. Quello si vede già a Palazzo Chigi. Credo. La situazione si potrebbe sbloccare solo se Grillo davvero cominciasse a “tollerare la democrazia” dei suoi… Cosa non facile, ma possibile. Nel qual caso potrebbe pure venire fuori una maggioranza trasversale magari su un nome un po’ meno inviso ai più. Oggi c’è stata un’apertura. Il signor Grillo per la prima volta ha parlato di Grasso VS Schifani in modo “positivo” (per i modi di Grillo s’intende) per Grasso… Il primo, se non erro, è stato etichettato come “raffreddore”, il secondo come “peste bubbonica”… Insomma un po’ di differenza pare cominci a vederla pure lui… I problemi son comunque enormi. L’avete visto Cipro? Tu vai al bancomat, ti fai un estratto conto e ti accorgi che lo stato ti ha puppato tra il 6 ed il 10% di quello che avevi depositato. Ma di che si parla? Questa è pura follia. Questo è il modo per far scoppiare i peggiori sommovimenti di piazza che uno possa immaginare. Ora è vero che da un punto di vista “etico” non c’è niente di male, in fondo, ad esempio, il prelievo IRPEF sulle nostre buste paga funziona in quel modo, ma una cosa è non farteli neppure vedere i soldi, un’altra è ESPROPRIARTELI. In un mondo perfetto in cui tutti pagassero le tasse potrebbe pure essere una cosa normale, ma da lì ad ammettere come lecita da parte della Commissione Europea una legge di un paese membro che è regressiva, iniqua e aberrante ne passa… Ora, si potrebbe discutere di tutto ciò che significa davvero Cipro nello scacchiere mediterraneo, ma il problema resta e va risolto. Se vogliamo un’Europa democratica, non si può dar adito a questioni di questa natura. Cazzo. Alla fine pare abbia ragione il populista che vorrebbe bruciare ogni istituzione. Ri-cazzo! E meno male che per ora i mercati l’hanno presa ben(ino)… Vi avrei fatto vedere il panico di stanotte. Son andato a letto con l’idea di vedere una giornata rosso sangue. O meglio, ero praticamente convinto di arrivare alla chiusura di oggi con un MENO grosso come una casa, invece, tutto sommato, pare che la fiducia ancora regga… Il problema è però: quanto ancora potremo tirare la corda? Molto poco, credo. Spero di sbagliarmi, ma nel dubbio tengo le mele molto strette.”

Rispettosa massaia della palude “Ho seguito ma non conosco i numeri. Il SEI percento mi pare una bella cifra. Ma di quanti soldi hanno bisogno? La cosa che dà fastidio è che queste cose accadono perché uno stato si trova alle perse. Ma un tentativo minimo di previsione? No? Magari si riusciva a fare proposte più eque. Questi eventi sono così imprevedibili? Si torna al problema più caro alla nostra nazione. Ognuno guarda al proprio orticello, purtroppo. Si cerca di far contento l’elettore disattento e si va avanti. Le regole non vengono rispettate e alla fine la storia si ripete. Un po’ di legalità e autocritica risolverebbero molti problemi. Prima o poi si capirà questo stato di cose? Speriamo di non dover tornare all’età della pietra o a quella del rame. Certo, ci tornassimo, le cose a cui prestare attenzione sarebbero sufficientemente poche e direttamente correlate alla sopravvivenza. Forse le cose andrebbero meglio”.

Mezzuomo: “Robe turche, anzi, cipriote in questo caso. Comunque sabato sono andato a cercare un rifugio in montagna. Bisogna perpararci per la rivolta. Alla fine la corda si strapperà e poi non ci sarà welfare che tenga… Si passa alle bombe!”

Rispettosa massaia della palude: “Lo dice anche Casaleggio!”

Dottor C: “Maremma diavolona. In effetti l’idea del rifugio in montagna potrebbe non essere male: in fondo pare che la luce alla fine del tunnel sia ancora lontana anche solo dall’essere intravista… E dunque in questo lasso di tempo che rimane ancora (e che ormai dura da anni) potrebbe succedere di tutto. Il compito della politica diventa allora ancora più importante in questi momenti. Mi direte: ogni fase storica ha avuto i suoi problemi, gravissimi e insormontabili; i nostri nonni hanno combattuto guerre mondiali, dove si moriva o dove si veniva sterminati in campi di concentramento per pure ideologie. Noi non conosciamo niente di tutte queste atrocità, e la “crisi” che ci spaventa così tanto, ridimensionata, è solo forse un taglio drastico (per noi)  al superfluo a cui eravamo ingiustamente assuefatti. Eppure dietro a tutto questo c’è sicuramente un disagio sistemico ben più profondo, che va al di là dei voti di protesta ad un comico o delle difficoltà di un paese democratico di darsi un governo che possa affrontare le problematiche anche più spicciole. Quello che c’è dietro, secondo me, è la crisi d’identità di un paio di generazioni che non sanno più cosa fare di loro stesse, e che si trovano smarrite di fronte ad un mondo che sta andando avanti (vedi i paesi ora “nuovi”, quelli emergenti e trainanti per l’economia) che non hanno più nessuna voglia di aspettare nessuno. Che sia la vecchia dialettica della lotta di classe di Marx, dove la classe operaia (il terzo, quarto mondo) sta sovvertendo gli ordini globali, trovandoci del tutto impreparati?”

Mezzuomo: “Quel che dici è correttissimo. Ogni epoca storica ha le sue peculiarità. La nostra è sicuramente una situazione agiata, ma solo grazie al duro lavoro di generazioni che hanno avuto la fortuna di avere il lavoro, quello vero, quello che ti permetteva di avere un minimo di fiducia nel futuro, quello dove il reddito era garantito e soprattutto era tale da comprarti casa, macchina e lasciare qualcosa ai figli. Oggi a casa mia si esulta per un posto fisso a 900 euro al mese. G., per fortuna dico io, ha firmato giusto oggi dopo 4 anni di apprendistato, un contratto a tempo indeterminato. Si esulta, si stappa uno spumante e si fa festa, ma se poi ci pensiamo bene ci sarebbe davvero da tirar su le barricate. Un tempo il primo stipendio a tempo indeterminato era sinonimo, diciamo, dell’inizio di una carriera che, per quanto scarsa potesse essere, ti consentiva di arrivare alla pensione con un reddito almeno triplo (e dico almeno) di quello da cui eri partito anche solo grazie agli scatti di anzianità. Oggi non è affatto così. Il tuo ultimo stipendio prima della pensione sarà si e no 900 euro più l’inflazione dei prossimi 40 anni. Di cosa stiamo parlando? Un conto della serva grazie alla magia della capitalizzazione composta. Supponiamo che si abbia l’inflazione programmata dalla BCE. Il 2% per i prossimi 40 anni. 900*(1+0.02)^40 = 1987.2 Avete idea di cosa potranno essere 2000 euro circa di stipendio nel 2053? Uno sputo. Ecco cosa saranno. Se a questo aggiungiamo che l’indicizzazione all’inflazione va via via scomparendo e che andremo in pensione con il contributivo, ci possiamo direttamente tagliare le palle, con buona pace di un paio di generazioni di classe politica che non ha capito una benemerita minchia di cosa volesse dire la globalizzazione. Il problema politico comunque lo si giri sta tutto qui. Il semplice cittadino può abbandonare il superfluo, essere onesto, pagare tasse ordinarie e tasse una tantum straordinarie, ma se avrà di fronte una politica come quella attuale che non dà risposte ai bisogni primari, non dà sostegno serio a reddito, occupazione e potere d’acquisto, prima manderà tutti a fanculo, Grillo’s style, poi ahimé inizierà a staccare i sanpietrini per strada ed a tirarli contro le istituzioni. Poi… Poi… Meglio non pensarci a quel che potrebbe venire dopo. Non so se si possa parlare di dialettica marxista, il mondo è cambiato talmente tanto che le vecchie categorie del materialismo storico non è detto che siano del tutto calzanti, ma è una certezza che in Occidente siamo di fronte alla crisi forte di un modello, quello capitalistico, che sta già sfociando in situazioni di conflitto che noi fatichiamo a figurarci, non essendoci mai passati. Come andrà a finire questa storia non lo so, ma nel dubbio un paio di ruderi in montagna li ho già adocchiati…”

Voci dalla palude

PaludeRispettosa massaia della palude: “Da massaia vorrei capire se il piede me lo schiaccerà una bicicletta o un autoarticolato. Pur nell’ignoranza di molte questioni, vorrei avvicinarmi alla realtà delle cose ed alla responsabilità delle azioni. Il “cabarettista mancato della Concordia” (alias Silvio B.) il giorno 4 dicembre si è svegliato e ha detto: “L’Italia ha bisogno di me, che riempio i ristoranti”. Vorrei capire se fosse possibile stimare con un certo grado di oggettività quanto ci è costata l’uscita di quello di cui sopra, dell'”autore di Apicella”, del “costruttore di mausolei”. Questo chiedo.

Sul lato squisitamente politico, la cosa che mi fa rabbrividire è il giochetto che si reitera da troppi anni fatto di campagna elettorale permanente, di caccia agli scranni e di modifiche più o meno sistematiche di leggi per l’interesse di sparuti gruppi di persone e la sopravvivenza di imperi di privilegio coperti da nebbie fitte (e se fitte non sono, si abbuia tutto e si nega l’evidenza). Tutto questo fa PAURA. L’altra sera ho visto Ignazio a 8 e 1/2 che con tono di pomposo disprezzo asseriva come dei tecnici non possano fare cose che spettano solo ai politici perché: “Politici non ci si improvvisa”, eppure ce ne sarebbero di politici da eliminare (Scilipoti? ora pure Flavia Vento?)… Sono una tecnica, ed ignorante, ma mi piacerebbe sapere quali siano le capacità che dovrebbero avere questi politici e che non potrebbero avere i tecnici, cheneso, una Cancellieri o un Passera. In qualsiasi partito questi fossero, credo sarebbero da preferire a qualsiasi dei nostri politici. In fondo il gradimento di cui gode ancora Monti dopo i salassi e le bastonate che ci ha dato, ritengo che sia significativo.

Sarebbe l’ora che qualche politico si svegliasse perché novelle l’Italia forse non ne vuole più sentire. Nonostante il bombardamento mediatico degli ultimi anni, un po’ di cultura nel nostro paese è rimasta. Prendiamo una barca ed il suo comandante. Il comandante di una barca che sta su un fiume con un bicchiere di benzina che si trovasse sopra ad una cascata, sa per spirito di conservazione che se rallenta (nel breve periodo) risparmia carburante, ma sa anche che avvicinandosi pericolosamente alla cascata se non si spiccia ad arrivare a riva a fare rifornimento… presto non ci sarebbe più né lui né mozzi e neppure schiavi, ma solo cibo per pesci. Nel caso di un comandante sprovveduto che non chiedesse per tempo al motorista di calcolare l’autonomia (sperando che almeno questo ricopra il suo ruolo per merito!) per poter raggiungere la riva, l’unica salvezza sarebbe qualcuno dall’esterno. In un caso del genere, però, che posizione avremmo poi nel negoziato? Chi avesse tanto e potrebbe pagare bene, comanderebbe, gli altri – i salvati della barca alla deriva – sarebbero destinati all’obbedienza. Un comandante invece che proponesse una via razionale per uscire dal fiume, conoscendo i numeri veri, non avrebbe problemi a riportare la barca in salvo. Costui potrebbe riportare anche la gente alla politica, quella gente che ormai non vota e sta a casa perché è stanca di votare pure il meno peggio.

In tutto ciò un’enorme colpa è anche dell’informazione. Che sia pilotata da un disegno oscuro? Per fare la sua parte, avrebbe dovuto spingere la gente ad usare in primis il cervello. Non dico di restaurare il pensiero unico e di vietare l’opinione, ma tra questo e tollerare tutto ce ne passa. Io instaurerei un format per i dibattiti, per esempio. Tipo le primarie per intendersi, con tempi contingentati, ma con scossa elettrica finale nel caso di sforamento dei tempi o di innalzamento eccessivo del tono di voce oppure in caso di risposta fuori tema e contesto. Ecco, per esempio, i componenti dell’attuale governo io penso passerebbero indenni un format di questo tipo, magari ci sarebbe poco colore, ma rispetto a qualsiasi altro nostro politico non ci sarebbe storia. Ecco bisognerebbe ripartire da quanto di positivo ha portato questo governo sulla scena politica. Il decoro, il rispetto di programmi ed istituzioni, ecc. Se l’informazione fosse fatta di contenuti, di discussioni meno astiose ed in generale informasse davvero, il cittadino potrebbe farsi un’idea, e questo è banale. Sarebbe doveroso verso gli italiani ottenere un po’ di verità dai mezzi d’informazione, ed un format più vero potrebbe pure fare audience, se condotto come si deve. Si guardi al successo che i dibattiti dei candidati alle primarie del PD hanno ottenuto. 
Parliamo però pure un po’ del Nano. Io credo che questo sia tornato più per il Dl sull’incandidabilità che sul ritrovamento del vecchio nemico Bersani. Ghedini gli ha detto: “Silvio, ti devi parare il c**o!” Se avesse vinto Renzi penso che sarebbe tornato ugualmente, magari più avanti, ma lo avrebbe fatto comunque con un quadro legislativo mutato che non gli garantisce l’immunità a vita. Io penso che o Bersani e la sua truppa trovano da subito un’unità programmatica per un piano di uscita dal baratro (che sia o meno sulla linea di Monti) oppure siamo alle solite. C’è da riportare l’efficienza nella pubblica amministrazione, c’è da garantire e finanziare il merito con buona pace dei sindacati che devono mettersi al passo coi tempi e non garantire nello stesso modo uno che lavora bene e uno che lavora consapevolmente male. Ecco, questa è una prima questione da affrontare. Dai sindacalisti è gradita una risposta esaustiva e risolutoria. Ci vuole o no il pugno di ferro con chi va avanti senza far niente, o addirittura facendo lavorare il vicino di scrivania? Ci vuole o no la spranga con chi si inguatta dietro a coloro che si spaccano la schiena e magari prende più soldi di quel che merita? E al dirigente che ha permesso tutto questo? Niente neppure a lui?
Poi ci sarebbe da parlare di evasione, ma su quella c’è poco da ragionare. Processi per direttissima, niente più patteggiamenti, si paga e se non ci si fa a pagare si bloccano i beni rateizzando il dovuto al tasso d’inflazione. Punto. 
Alla fine, comunque il problema nodale è il futuro, o no? Ecco per noi i problemi del futuro sono energia, lavoro, giustizia, equità e demografia (nel senso dell’età media del paese). E allora, visto che lo sappiamo, che ci si dà una mossina? Snellire iter, procedure, cavilli e chi più ne ha più ne metta, mandare a casa un po’ d’avvocati e imporre tempi certi per i processi, ecc. Tutto finalizzato ad attrarre lo straniero che oggi ci sta lontano e non si fida di noi. Ci starebbe bene una patrimoniale ed il Dl sull’incandidabilità lo semplificherei, sai com’è, facciamo che eleggiamo solo incensurati, in fondo se vogliamo andare a lavorare oggi ci chiedono carichi pendenti e casellario giudiziale, perché i nostri politici dovrebbero esserne esenti?
Infine vorrei dire una parola anch’io su Bersani. Ad oggi, lo dò con probabilità del 40% come un moderno Caronte, non a causa del Vendola di turno, o di un Monti-bis… Io penso che gli italiani stiano già mettendo in conto di avere domani un 14 luglio come i cugini francesi… Questo penso”.
 

Mezzuomo: “Cara la mia massaia. In effetti l’Italia sembra proprio la palude in cui tu abiti. Tutto ciò che dici è per molti versi sacrosanto, ma mi permetto giusto di fare due appunti a quanto affermi.

La prima questione riguarda i tecnici VS i politici. Quel che possiamo salvare di questi 13 mesi di governo Monti credo sia il fatto che siamo stati guidati da un governo fatto da persone competenti, che sanno il fatto loro e che si sono rivelate persone perbene, almeno all’apparenza. Persone credibili che, per quanto costrette a svolgere un lavoro sporco, hanno ricevuto un sostanziale apprezzamento dalla popolazione. La dimostrazione di ciò, come tu giustamente dici, è il fatto che l’indice di gradimento di Monti è ancora decente, nonostante tutto. Quel che ci hanno dimostrato è sicuramente che la politica di oggi è per molti versi un affare per tecnici, a dispetto di quanto pensi il tuo amico Ignazio. Il limite però che io vedo almeno in questi tecnici è la totale mancanza di percezione della pancia del paese di quelli che sono stati e sono i suoi bisogni. Ecco, questo io credo è il limite del tecnico. Non ha il contatto con la gente che può avere un politico che, con la sua struttura capillare, può e deve ascoltare quel che il paese reale chiede. Per questo io penso sia necessaria la politica, per questo non auspico un Monti-bis e per questo penso che la politica in sé abbia ancora un significato. In un’Italia ed un mondo perfetto vorrei avere un primo ministro politico con almeno una metà del consiglio composto da ministri tecnici soprattutto in ministeri cardine quali l’economia, il lavoro, la giustizia e le attività produttive e ministri politici per quanto attiene gli interni, gli esteri e la difesa, tanto per dare un’idea. La guida però DEVE essere politica e DEVE prima di tutto essere in grado di ascoltare la gente.

La seconda questione riguarda il Nano e gli errori di questa fine legislatura da parte del PD e, secondo me, di Napolitano. Dopo lo sberleffo del PdL dell’altro giorno si doveva aprire la più classica delle crisi di governo. La questione dello spread è fuffa, aria fritta. Se anche non fosse successo niente di tutto quel che abbiamo visto, a marzo i mercati ci avrebbero impallinato ugualmente. Ormai s’è capito che ai mercati non piace la democrazia con tutte le sue lentezze e magagne e che preferisce di gran lunga un governo che agisca nelle tasche delle persone favorendo i grandi centri di potere e di finanza. Quel che faccio è prima di tutto un ragionamento logico: la maggioranza non c’è più ergo si procede alla crisi. I mercati ci avrebbero impallinato (come peraltro stanno già facendo) per un tempo relativamente breve, avremmo potuto caricare il PdL delle sue responsabilità oggettive dell’aver indotto questo stato di cose e saremmo partiti immediatamente con un brevissima campagna elettorale che ci avrebbe portato al più tardi a votare a febbraio. Perdere altro tempo lede la gente e politicamente Bersani ed il PD, perché, se ci hai fatto caso, le primarie son state cancellate già, il dominus della politica italiana (e dell’informazione che ne gravita intorno!) è tornato ad essere il Nano e ormai non si parla che di lui. E più spazio si dà al Nano e più lui si gonfia e fagocita tutto ciò che ha intorno.

Se vogliamo uscire dalla palude, e magari tu cara massaia potresti andare a cercarti una casa in un luogo un po’ meno umido, dobbiamo agire. La prassi è il motore di tutto, il tempo è prezioso ed il treno della novità, del progresso, del tentativo di cambiare le cose non aspetta. Una volta che è perso, è perso per sempre.

Bisogna fare presto. Vinceremo, su questo son sicuro. Il Nano è sconfitto, ma mi chiedo perché non siamo decisi? Perché non diamo il colpo di grazia a lui ed a tutti i berluscones? Che sia perché la politica italiana ha in sé un qualche spirito di autoconservazione? Se fosse così… Sì, spero proprio in una rivoluzione vera. Spero proprio di aprire la Terza Repubblica dopo aver assaltato Montecitorio e Palazzo Madama!”

Dialoghi molto attuali… L’ILVA e la politica industriale italiana

Uomo: “Pensavo oggi alla questione ILVA. Che poi, parliamoci chiaro, la questione occupazionale dovrà assolutamente essere il centro di ogni intervento politico dell’immediato futuro. Detto ciò, la questione ILVA mi pare riassuma emblematicamente i paradossi di certa industria italiana. 
Ma il dramma è la scelta esistenziale tra il lavoro e la salute: il dramma è che oggi, nel 2012, debba darsi il caso che il futuro di una industria di queste dimensioni sia racchiuso in una scelta dicotomica del tipo bianco/nero. Qui si racchiude tutto il fallimento della gestione sia politica istituzionale che politica industriale. e come al solito a pagare saranno i poveri cristi che forse andranno in cassa integrazione. Sarebbe fuori luogo secondo te un intervento statale pesante? Se il capitolo delle liberalizzazioni è in effetti un capitolo di fallimenti, perchè lo stato non potrebbe riprendersi settori strategici dell’industria? Certo non secondo modelli sovietici, ma secondo modelli di partecipazione indiretta, dove però la salvaguardia della salute e del diritto al lavoro ritornano centrali. Chissà..”

ilva-tarantoMezzuomo: “ILVA. Che situazione! Come giustamente dici te, è uno dei tanti fallimenti della politica e dell’imprenditoria italiana. Il solito intreccio di poteri che ha fatto mangiare tante bocche a Roma, in regione Puglia, nella provincia e nel comune di Taranto, salvo poi affamare e ancor peggio ammalare la povera gente. Il problema è gravissimo altro che grave. L’ILVA rappresenta il 55% del PIL della Puglia, se non ricordo male, è di gran lunga il primo produttore di acciaio d’Italia e dà lavoro tra diretto ed indiretto a qualcosa come 30.000 persone. Questi i numeri della produzione, ma che dire del problema sanitario? C***o. Lì la gente muore per davvero e con incidenze di mortalità da paura, paragonabili forse solo al macello del fu Eternit di Casale Monferrato. Ecco, cercando di lasciare un attimo da parte la questione socio-politica e guardando ai numeri, mi ricordo una discussione con ****** che una volta mi fece entrare in una riflessione riguardo alla stima dei costi degli eventi estremi (dei Cigni Neri, tipo le catastrofi, ecc.). In effetti non esistono modelli chiari per capire quanto effettivamente costi alla collettività una concentrazione di morti e/o da malattie indotte da eventi estremi e/o dalla scelerata attività umana, tipo il terremoto dell’Aquila o l’ILVA, appunto, a Taranto. Il problema si aggrava poi se andiamo a vedere anche i costi sociali di una chiusura di un impianto come l’ILVA. Si tratta di una polveriera sociale e non c’è economista al mondo, di qualsiasi credo sia, che non dica che il disagio sociale è il problema economico più difficile da gestire. Solo la guerra può essere paragonabile ad una situazione come la disoccupazione dilagante e la tensione, che ovviamente si manifesterà nel caso di una chiusura (come quella che appare dietro l’angolo)! Quindi? Come uscirne? La ricetta c’è. Peccato che non sia quella del pensiero dominante oggi in Europa. Questa ricetta è quella di Keynes e Roosevelt e che oggi è impersonata dagli economisti “di mare” che hanno come capofila Krugman, che si contrappongono strenuamente agli economisti del pensiero dominante, gli economisti “d’acqua dolce” (tra l’altro se hai voglia ti consiglio di leggere un libello molto carino proprio del Nobel Krugman – “Fuori da questa crisi adesso”). In situazioni di crisi come questa bisogna sostenere la domanda aggregata con la Mano Pubblica. C’è poco da fare. Se ho disoccupazione dilagante, la gente non spende e la domanda muore… E la domanda non si rilancia con l’austerity, ma solo facendo spendere chi può spendere, ovvero gli Stati. La questione del debito è un problema relativo nella misura in cui il debito è sempre il credito di qualcun’altro… Per cui… Una situazione come l’ILVA potrebbe essere affrontata solo sospendendo il patto di stabilità e con lo Stato che s’impegnasse a garantire la produzione prima, la riconversione e la bonifica poi. Punto. E la cosa che mi fa incazzare è che sotto al tavolo questi “maneggi” per le banche già si fanno. Guarda il MPS oggi in Italia, Dresdner e Commerzbank ieri in Germania, Dexia in Belgio e tutte le banche spagnole. Sai qual è il problema? Io credo che nessuno abbia il cuore di stappare il vaso di tutto quello che c’è a Taranto perché nessuno sa cosa ci sia davvero e nessuno vuole trovarsi con la patata bollente in mano. Ed in tutto ciò, l’Europa da parte sua non intende ulteriormente sporcarsi le mani perché dal suo punto di vista sta versando fiumi di denaro da decenni al Sud-Italia tramite i famosi fondi per la coesione sociale, che regolarmente si perdono nella corruzione, nelle mafie, ecc. E d’altra parte la politica italiana oggi più di ieri è il nulla assoluto. Ed eccoci qua. Bersani. Sì, proprio lui. A marzo, appena un minuto dopo l’elezione deve avere le palle e fare il politico vero. Deve salvare Taranto. Punto. Questi tecnici prenderanno tempo e non decideranno nulla perché non credono veramente che lo Stato debba intervenire massicciamente a Taranto, al di là di tutti i buoni propositi di Rigor Montis…. C’è poco da dire ancora: Monti, ecc. sono parte della corrente degli economisti “di acqua dolce”… E quindi… Punto.

Il crepuscolo degli “austerici”?

Concentrato com’ero in questi giorni sulle italiche vicende, ho taciuto – colpevolmente – riguardo ad un evento che forse, e dico forse, potrebbe nel medio-lungo periodo mettere un freno al declino cui tutti stiamo assistendo.

L’evento in questione è la rielezione di Obama.

Come saprete il 6 novembre scorso Obama ha vinto le elezioni americane assicurandosi così altri 4 anni di governo degli Stati Uniti.

Ecco, per quanto in questi giorni la politica americana verta tutta e solo sul tentativo di scongiurare il fiscal cliff, quel baratro fiscale in cui è stata ficcata dal secondo scellerato mandato di Bush, il fatto che Obama si sia garantito un secondo mandato, a mio modo di vedere, può essere l’unico barlume di speranza per scongiurare il predominio di quelli che Krugman (economista premio Nobel) chiama “austerici” e l’impatto delle loro politiche depressive.

Ormai è un fatto acclarato che in Occidente la dottrina economica dominante sia il rigore, ovvero il tentativo, che finora si è rivelato devastante, di rianimare un infartuato con un grappino, per usare una metafora calzante. In America come in Europa si è pensato di risolvere il problema del debito, deflagrato dopo la crisi subprime, riducendo forzosamente le spese statali e imponendo un’elevata tassazione sui cittadini. Il risultato, ahimé, è sotto gli occhi (e nelle tasche…!) di tutti, la domanda aggregata è crollata, la disoccupazione galoppa e le economie occidentali stagnano, o peggio, crollano.

In questo quadro desolante, un presidente democratico che abbia dalla sua altri quattro anni di mandato, non abbia l’assillo della rielezione e abbia sotto gli occhi i risultati tutto sommato deludenti del quadriennio precedente, potrebbe essere la soluzione.

Se andate indietro di oltre un anno, abbiamo parlato diffusamente di politiche economiche non convenzionali (vi rimando al post “Siamo dannatamente fottuti?” dell’agosto 2011), ecco, forse oggi, con una situazione ancor più grave e incancrenita di un anno fa, Obama potrebbe rappresentare la speranza di ribaltare quel pensiero dominante che offusca le menti di policy makers, giornalisti e uomini della strada.

L’austerità non è la soluzione e Obama è l’unico che, nonostante le barricate che troverà al Congresso, possa accendere la luce sugli errori che i governi occidentali stanno perpetrando ormai da troppo tempo. Lo Stato serve e serve tanto più in depressione, quando la domanda che viene dai cittadini è modesta se non assente, la fiducia è sotto i piedi e non ci sono player a livello globale in grado di assorbire l’output dell’economia occidentale.

Per l’Europa sarà una questione ancor più difficile rispetto all’America, ma il “presidente nero” potrebbe ri-cominciare a fare da esempio innescando quel circolo virtuoso che nella storia ha permesso all’Occidente di uscire dalle situazioni più difficili.

Barack, ascolta Christina Romer, che conosci molto bene:

“Le evidenze dimostrano più che mai che la politica fiscale conta; che lo stimolo fiscale aiuta l’economia a creare nuovi posti di lavoro; e che la riduzione del deficit di bilancio rallenta la crescita, quantomeno nel breve periodo. Eppure, queste evidenze non sembrano trovare riscontro nel processo legislativo”.

e infine Krugman:

“Ciò che impedisce la ripresa è una mancanza di lucidità intellettuale e di volontà politica. Ed è compito di tutti coloro che possono fare la differenza […] fare tutto ciò che è in loro potere per rimediare a quella carenza. Possiamo mettere fine a questa depressione: dobbiamo reclamare politiche che vadano in quel senso, a partire da oggi stesso”.

Barack, regalaci una speranza cui aggrapparci, fa che il 2013 sia l’inizio del crepuscolo degli austerici.

Un neo-feudalesimo all’orizzonte?

Siamo abbondantemente entrati nel Terzo Millennio. Eppure.
Giorno dopo giorno sta maturando in me un’idea stramba, ma che pian piano gli accadimenti vanno confermando, o per lo meno non sconfessando.
Ho l’impressione che la forma di capitalismo in cui siamo immersi e la società che su questa peculiare forma economica si è sviluppata abbia caratteristiche per certi versi simili alla realtà sociale del Primo Millennio. Potrete pensare che sia folle quello che scrivo, eppure con uno sguardo attento alle dinamiche che si osservano nel mondo del lavoro di questi ultimi anni, mi pare si tenda ad una regressione nei rapporti umani e contrattuali che sembrano condurci a quello che senza paura mi permetto di chiamare “neo-feudalesimo“.
Sì, i rapporti di “classe” e gli squilibri di potere che si vanno affermando hanno un non so che di medievale. Guardate con attenzione al mondo del lavoro. A fronte di una costante diminuzione della produzione, dei consumi, del risparmio, ecc. si nota l’emergere di una sempre più profonda frattura tra chi “comanda” e chi “obbedisce”, cioè una dinamica sociale che assomiglia in modo preoccupante alla società feudale medievale dove da un lato c’erano i nobili, i feudatari, e dall’altro il popolino, per gran parte costituito da servi della gleba. Vero è che in tutta la storia della civiltà sono esistite strutture sociali analoghe, ma quel che vediamo oggi è uno smantellamento lento, costante ed esplicito di diritti acquisiti in decenni di battaglie di civiltà.
Se ci soffermiamo sui panegirici del ministro Fornero o sulle dichiarazioni di Marchionne, in barba alle regole ed alle sentenze, ecco che tutto si fa più chiaro: in periodi di vacche magre chi deve darsi da fare pare dover essere sempre il popolino, costretto a lavorare (se vuol campare) ed a ingoiare bocconi indigesti, quasi come succedeva con le corvées medievali.
Non che ci si debba stupire di questo. Il potente, per definizione, è al di sopra dei più, banchetta mentre gli altri raccolgono le briciole, si nasconde quando gli altri sono in guerra, eppure credo che dobbiamo riflettere sul profilo del “potente” di oggi proprio confrontandolo con quanto la storia medievale ci racconta.
Se nel Medioevo il potente lo era per lignaggio e per rango e dunque il suo status era garantito dalla genia, com’è possibile che individui esattamente uguali a me o a voi possano ergersi a potenti oggi e si arroghino diritti che nessuno ha concesso loro? Lasciamo da parte la classe politica, ci sarebbe molto da discutere su di essa, ma tutto sommato questa viene eletta per cui in un certo qual modo è autorizzata ad essere sopra di me e voi. Concentriamo sui manager.
Chi sono costoro? Com’è possibile che per loro valgano leggi diverse dalle mie? Com’è possibile che facciano quel che vogliono anche a patto di calpestare diritti e limitare la libertà altrui? Questi signori a cui dovremmo ascrivere una buona fetta di responsabilità nell’averci condotto in questo baratro, non possono non pagare il fio di quanto fatto. Eppure vengono strapagati per assumersi responsabilità (anche legali) del proprio operato e delle società che essi rappresentano.
Senza tornare alla ormai celebre sfacciataggine dello squalo Dick Fuld (ceo di Lehman al momento del crollo), è possibile che coloro che hanno distrutto il valore di società importanti (si guardi ai casi Fonsai, Alitalia, Telecom, solo per citarne alcuni) la passino sempre liscia? La risposta è si. Nonostante questi siano, di fatto, dipendenti di queste società (come me e voi), essi godono di uno status olimpico che li avvicina in misura preoccupante al feudatario medievale. Eppure costoro sono solo dipendenti, ed, a differenza del feudatario che era proprietario di terre e beni, sono – e lo ripeto – semplici dipendenti di queste società.
Ecco, è qui che casca l’asino. Qui il modello economico su cui è basata la nostra società mostra i suoi piedi d’argilla ed è muovendosi in questa direzione che rischia di avvitarsi in un circolo vizioso insanabile.
Se non cominciamo a dare il giusto peso al concetto di responsabilità, il futuro è gramo. Che la battaglia sia già persa?
Spero di no, od almeno spero che si cominci a pensare, già questa sarebbe un’ottima conquista.

Lavoro lavoro lavoro

Fior di politici si riempiono la bocca di parole vuote.
Fior di economisti forniscono ricette.
Fior di sindacalisti si battono…
Nonostante tutto un gran numero di noi non lavora.
Il lavoro checché se ne dica è IL vero problema che emerge da questa infinita crisi nell’EZ ed in particolare nei paesi periferici di essa, quali la nostra Italia e gli altri PIGS.

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La crisi finanziaria, o meglio l’ossessione per il debito, il disavanzo e lo spread, ci ha forzato a fraintendere il vero problema. Chiuso, almeno per ora, il buco nero greco, e ristabilita una distanza un po’ più fair tra il rendimento dei nostri titoli di stato ed il riferimento tedesco, dovremmo concentrarci SOLO su come rilanciare un paese ed un continente che ormai produce molto meno di quello che importa e che mantiene privilegi salariali in alcune categorie e fasce di età che ormai non sono più compatibili con l’attuale economia reale, economia con cui ciascuno di noi si confronta ogni giorno. Mi riferisco da un lato al fabbisogno dello stato, con particolare attenzione al monte salariale dei dirigenti e dei tanti troppi eletti della nostra vetusta res publica e dall’altro all’ormai incolmabile gap che è venuto a crearsi tra i nuovi ingressi nel mondo del lavoro e coloro che ormai sono prossimi alla pensione.
Al di là del sacrosanto tentativo di rinnovare il mercato del lavoro italiano secondo formule più concrete e moderne, sono questi secondo me i veri problemi, e, contestualmente, le vere sacche di resistenza che impediscono a questo stato di fare quel salto di qualità che potrebbe renderci davvero competitivi in Europa e nel mondo.
Con buona pace delle parti sociali e dei nostri policy makers il rilancio del mondo del lavoro, come di molti altri ambiti della nostra vita sociale e politica, non può che partire dalla constatazione di uno stato di fatto che deve indurci a prendere decisioni non semplici, ma necessarie. Lo stato di fatto è tanto crudo quanto semplice: QUESTO modello di sviluppo ci porterà inevitabilmente al declino. Il tessuto produttivo italiano di questo passo non sopravviverà. La soluzione, attenzione, è sicuramente la crescita, ma questa da sola non basterà se non scendiamo a compromessi e non pensiamo ad una sana redistribuzione dei redditi.
La revisione dell’articolo 18, importante e da rivedere per carità, non è che un falso problema se guardiamo alla situazione vera del nostro paese. Un falso problema sia dal punto di vista sindacale che da quello imprenditoriale perché ormai è cosa nota che la stragrande maggioranza dei licenziamenti in Italia non è regolata da tale articolo in quanto hanno a che fare con motivazioni esclusivamente economiche. I problemi veri sono disoccupazione giovanile e produttività di coloro che già sono inseriti nel sistema e tali problemi sono inevitabilmente correlati: in Italia non si assume perché si produce poco, male e ad un costo orario incredibilmente alto.
Se tutti dobbiamo essere disposti a sacrifici, dobbiamo pensare che coloro che non sono produttivi, se non possono essere tagliati, devono subire almeno un taglio di stipendio che permetta di liberare risorse per far entrare nuove e più motivate figure nel mondo del lavoro, quei giovani che oggi sono a casa senza alcuna speranza per il futuro.
In Italia, checché se ne dica, esiste un problema generazionale, c’è uno scontro tra giovani e anziani, anzi, peggio, è in atto uno scontro tra gli under 35 e gli over 50, i primi ormai demotivati e senza speranza, i secondi che hanno avuto una retribuzione negli anni superiore alla loro reale capacità produttiva, in altri termini, hanno vissuto oltre le loro possibilità e, guarda caso, hanno permesso ai loro figli, quelli che ora “non sanno dove battere la testa”, di vivere sopra le righe e di preoccuparsi poco per il proprio futuro convinti che, in un modo o nell’altro, avrebbero potuto trovare un lavoro buono e ben pagato, indipendentemente dagli studi e dall’impegno profuso.
Insomma, cari genitori, dovete lasciare spazio ai figli. Questo non significa che dobbiate essere rottamati (anche perché per tutti l’età pensionabile è ormai un miraggio), quanto piuttosto che rinunciate ad una fetta del vostro stipendio, se volete davvero che noi, i vostri figli, non restiamo “bamboccioni” per sempre e possiamo permettere ai nostri figli di avere tutto quanto di bello avete dato a noi!

P.S. Un ringraziamento speciale all’autore della vignetta…. Grazie Ale! zeepoo.blogspot.com

Riflessioni di un progressista sconsolato 2

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Un’altra settimana si è appena conclusa. Un’altra settimana di declino per la politica italiana, in particolare per i due maggiori partiti, PdL e PD.
Prima di analizzare i casi specifici, credo sia doveroso chiederci perché i partiti che rappresentano da soli 2/3 dell’establishment politico italiano attraversino una fase di così profonda crisi. Al di là dei casi specifici, infatti, è ormai chiaro che in Italia il tanto agognato bipolarismo sia sull’orlo dell’implosione a causa di due poli che, ciascuno a modo suo, non risultano essere così “magnetici” come ci saremmo aspettati. È un fatto che i progetti politici sviluppatisi in questo ultimo decennio siano da considerarsi quantomeno rivedibili.
A differenza di quanto si pensava, in questi anni PdL e PD non sono stati i player principali della partita, o meglio, lo sono stati in termini di numeri di voti e dimensionamento, ma si è avuta l’impressione che non fossero mai state le vere “guide” del dibattito politico quanto piuttosto si muovessero come banderuole, sbattute a destra, a sinistra e al centro nei vari fronti di discussione che di volta in volta sono stati aperti. In un certo senso, a fronte di un PdL strattonato più volte dalla Lega e da quello che è divenuto il Terzo Polo (non nomino neppure i “Responsabili” che secondo il mio parere non sarebbero neanche degni di entrare come visitatori nei palazzi della politica!), il PD si è visto tirare per la giacchetta da Di Pietro, Grillo e SEL, quest’ultimo in grado addirittura di vincere un paio di primarie pesanti in città fondamentali come Milano e Genova così da creare notevoli grattacapi alla dirigenza democratica.
Ma perché tutto questo è avvenuto? Troppo facile sarebbe cercare LA colpa nella “pochezza” della classe politica italiana (che comunque è un motivo da non sottovalutare), credo piuttosto si debba prendere seriamente in considerazione l’idea che la colpa sia da ascrivere principalmente al solito Silvio Berlusconi, o meglio al declino di Silvio Berlusconi. Perché? È presto detto. Nel centro-destra, e ancor di più nel PdL, egli ha rappresentato e probabilmente ancora rappresenta l’unico motivo di unità mentre, dall’altro lato dello schieramento, il suo progressivo indebolimento ha fatto credere che fosse giunto il momento della spallata e che fosse necessaria un’accelerazione nella costruzione di uno pseudo-partito di governo piuttosto che un partito assodato fatto di idee, di strutture e militanti.
Di tutto ciò ne sia riprova il fatto che con il progressivo eclissarsi del Nano italico è sparita anche la politica italiana. A differenza di quanto ci saremmo aspettati, invece di vedere un rinnovato impegno ed una nuova fase di discussione, si è assistito alla nascita di un governo di (quasi) unità nazionale che ha catalizzato l’attenzione dei media quasi più di quanto non fosse successo con i primi governi Berlusconi. Di certo il contesto economico generale ha spinto affinché una situazione del genere potesse venirsi a creare, di certo la “forzatura” sacrosanta di Napolitano verso un governo tecnico ha contribuito, ma avreste mai creduto che dopo 3 mesi di Governo Monti non avremmo avuto idea di cosa aspettarci dalla politica italiana del prossimo futuro? E avreste mai pensato che la “dipartita” di Silvio da Palazzo Chigi avrebbe avuto un effetto tanto deflagrante in tutto lo schieramento politico? Io no, sinceramente.
Veniamo infine ai fatti di questi ultimi giorni.
Il PdL, non me ne voglia il buon Angelino, è una nave senza capitano. La storia delle tessere false con il coordinatore (Verdini) che arriva a chiedere l’intervento della Magistratura, sa molto di resa dei conti, di preparazione alla battaglia con colonnelli che rinserrano le proprie truppe, stringono alleanze e scavano trincee e, purtroppo, sa molto di Tangentopoli e di degenerazione della politica, e non dico niente più.
Il PD, da parte sua, ha i suoi buoni grattacapi. L’apertura del dibattito sulla riforma del mercato del lavoro e per estensione sull’operato del governo Monti, ha riaperto ferite mai sanate. Si sono svegliati i filo-CGIL da una parte, i “moderati” dall’altra e, come al solito, Veltroni ha colto l’occasione per girare il coltello nella piaga. Proprio quel Veltroni, di cui non faccio mistero in passato abbia nutrito più di una semplice ammirazione, mi ha lasciato basito e rappresenta un’altra prova provata di quanto la politica italiana non riesca a dire niente di nuovo e resti arroccata nel suo sempre più vetusto castello. Veltroni con le sue interviste, che sono entrate a gamba tesa nei confronti del suo stesso partito, sembra ormai un giovane nel corpo di una cariatide, e dimostra quanto la politica italiana sia incapace di svecchiarsi e spinga gli elettori (e per estensione il popolo) verso l’abisso dell’antipolitica. S’intenda, non è che Fassina e tutti quelli che stanno dall’altra parte, si comportino molto meglio, sia chiaro. Essi contribuiscono in modo sostanziale alla riproposizione dell’eterno ritorno dell’eguale!
Come e se usciremo sulle nostre gambe da un momento così triste non è chiaro, ma credo ogni giorno di più nella necessità impellente per entrambi i poli di voltar davvero pagina, di chiudere questa fase storica per aprirne una davvero nuova, una Terza Repubblica che sicuramente non potrà essere peggiore della Seconda.

Riflessioni di un progressista sconsolato

Eccoci ad un altro fine settimana. Il settimo dall’inizio del 2012, eppure tutto quel che è accaduto in questa settimana, o quasi, sembra essere uguale a quanto visto la settimana precedente, a quanto accaduto in quella ancora prima e ancora e ancora e ancora…

Non discuto e non smentisco quanto scritto nel precedente post, qualche germoglio di primavera, qua e là, inizia a spuntare davvero a spuntare, ma da qui a dire che questi germogli possano preannuciare una nuova e bella stagione ne deve passare di acqua sotto i ponti.

Mi riferisco in particolare alla situazione politica italiana e, per estensione, a quanto si vede in Europa. A fronte di un governo italiano quanto mai attivo (nel bene e nel male, s’intende) si è assistito ad una recrudescenza del conservatorismo che rappresenta ai miei occhi il male assoluto dei nostri tempi.

Abbiamo un Presidente del Consiglio che ben prima dei fatidici 100 giorni può senza dubbio dire di aver fatto qualcosa per questo paese, ma come controaltare abbiamo una classe politica che ha rispolverato i cannoni della Restaurazione. Basti guardare alla questione dell’articolo 18, ai 2ooo e passa emendamenti al Decreto Cresci Italia, ai soldi del finanziamento pubblico ai partiti che finiscono nelle tasche di soggetti spregevoli, all’incapacità di trovare una seppur minima sintesi nel dibattito sulla revisione della legge elettorale, ai tagli mancanti dei vitalizi e degli enti inutili e chi più ne ha più ne metta.

In Europa non stiamo certo meglio. La situazione greca è tutt’altro che disinnescata, il Portogallo vacilla, la Spagna lo segue, la Germania non riesce ad essere locomotiva di cambiamento, la Gran Bretagna va per la sua strada e la Francia è incartata nella successione (forse) di quel politichetto (per statura e levatura intellettuale) che è Sarkò, l’Ungheria è già nel baratro e, ancora, chi più ne ha più ne metta.

Come potete vedere, dunque, avremmo molto di cui discutere e sinceramente non so neppure da che parte cominciare, ma se mi permettete vorrei dire due parole sulla spinosa questione relativa alla riforma del mercato del lavoro italiano. Fermo restando un giudizio di disprezzo nei confronti delle sparate di certi membri del governo con Monti in testa, la questione deve essere affrontata con coraggio e senso del fare, pura e semplice prassi. L’Italia ha un problema di lavoro, produttività e di disoccupazione giovanile e questo è sotto gli occhi di tutti. Bene, è giunta l’ora di discutere e di agire veramente.

Parliamo dall’articolo 18. Visto che ormai sembra essere il caposaldo della discussione da qualsiasi parte si guardi la questione. Proverò a dare un’interpretazione discutibile, ma quanto mai basata sui fatti. Non è vero, come sostengono i sindacati (compreso quello a cui sono ancora iscritto) che sia un falso problema. Una revisione di questo diritto è sacrosanta. Non possiamo nasconderci dietro ad un dito. Il mondo del lavoro italiano è ingessato. Non si assume. Certo, non si assume SOLO perché in Italia esiste l’articolo 18, ma ANCHE per questo motivo. Perché dunque non provare a ripensarlo e ridiscuterlo mettendo sul piatto qualche concessione ai datori di lavoro A PATTO CHE essi s’impegnino ad assumere? Proviamo a chiedere ad un disoccupato se preferisce lavorare con qualche garanzia in meno o stare a casa. Certo, si può controbattere dicendo che il problema dell’Italia è la MANCANZA di lavoro e l’inefficienza del sistema. Vero, verissimo. Parliamo anche di questo allora. Parliamo a tutto tondo di come rilanciare un sistema produttivo che sembra un malato terminale. Ovvio che dovremo parlare di pagamenti nei tempi e nei modi giusti, di snellimento ed efficienza della PA, di tassi sui prestiti alle imprese e di incentivi all’investimento, ma se coloro che hanno davvero soldi da investire (italiani o stranieri che siano) non lo fanno dichiarando espressamente che uno dei motivi è legato all’articolo 18 perché laicamente non c’impegnamo a rivederlo? Non capisco i tabù come non capisco il conservatorismo. Se i tempi cambiano e qualche diritto si perde a causa di scelte ed errori che comunque sono già stati commessi perché non vogliamo prendere atto della situazione, mettere un punto ed andare a capo? Insomma, anch’io non credo che il problema sia solo l’articolo 18 bensì il peccato originale sia piuttosto ascrivibile alla variegata pletora di ridicole forme di lavoro a tempo determinato ed indeterminato che rendono i lavoratori più precari di quanto non lo sarebbero in un mondo in cui l’articolo 18 non esistesse neppure e ci fossero – che so – 10 forme contrattuali in tutto.

La flessibilità è una cosa bella in teoria, ma in pratica, in Italia, non lo è, con buona pace di Monti. Ben vengano dunque proposte di revisione dei contratti di lavoro che facilitino le assunzioni a tempo indeterminato magari con forme di protezione del posto più “blande” dell’articolo 18 così come oggi lo conosciamo.

Quando si cambia, come dice il proverbio è certo quel che si perde, ma è assolutamente incerto quel che si troverà. Questo è pacifico e sacrosanto, ma in un’Italia come questa, sarei pronto a perdere buona parte di quel che vedo intorno a me pur di provare a cambiare seriamente qualcosa, pur con tutti i rischi connessi con “ignoto”!

Per il cambiamento serve coraggio, e perché no un pizzico di sano cinismo, ma quando – come di questi tempi – ci rendiamo conto che mantenere lo status quo ci condurrà certamente al declino, credo dovremmo farci forza, mettere da parte la paura e fare il fatidico passo in avanti.

Countdown to the implosion?

Il tizio che vedete in foto è Nuoriel Roubini. In America è famoso per due motivi: è stato uno dei pochi ad intravedere la crisi subprime, che gli ha valso senza dubbio la notorietà oltre a due non troppo invidiabili soprannomi, Dr Doom e Cassandra ed è un gran party man. E beato lui, mi viene da dire!

Le sue fosche previsioni, in effetti, hanno fatto un ulteriore passo in avanti negli ultimi mesi tant’è vero che nell’ultimo Global Outlook che egli ha pubblicato, compare una data di default per l’Italia che coincide con gli ultimi trimestri del 2013.

Insomma, ottime prospettive per inziare l’anno nuovo!

L’analisi può essere riassunta in poche battute: la difficoltà ed onerosità nel rifinanziamento del debito pubblico, l’effetto contagio dell’uscita della Grecia dall’Euro (che Roubini stima per la fine di questo anno), la disoccupazione, l’incapacità di rilanciare i consumi privati, per mancanza di fiducia, e pubblici, per gli stringenti vincoli di bilancio, fanno sì che l’Italia si trovi ormai su una china insormontabile che non può essere scongiurata e che quindi richiederà una ristrutturazione del debito. Un default bello e buono.

Ora, non che Roubini sia nuovo ad affermazioni del genere, anzi, già mesi fa, in effetti, aveva affermato che l’unica strada efficace per rilanciare nel medio-lungo periodo l’Italia era ristrutturare fin da subito il debito pubblico. La novità del momento è, però, “la data di scadenza” che ci ha appioppato.

In effetti, stando a quanto riportato in questa difficile quanto interessante analisi: http://www.economonitor.com/edwardhugh/2011/12/26/italy-braces-itself-for-the-full-monti/ le prospettive del Bel Paese sono decisamente fosche e, al solito, torniamo sempre a ragionare intorno agli stessi problemi: l’inefficienza del lavoro che  porta ad un costo esoso per unità prodotta (a fronte, peraltro di una retribuzione mediocre del lavoratore), l’invecchiamento tendenziale della popolazione e la disoccupazione giovanile, la mancanza di crescita del sistema Italia, l’inflazione connessa alle misure di austerity, la mancanza di competitività ed il tracollo delle PMI, il rallentamento dell’immobililare e la stagnazione del credito, e chi più ne ha più ne metta.

Per quanto, però, mi stia mangiando il fegato, e rosichi a vedere quel che c’è fuori dai miei confini (ben sapendo comunque che molti all’estero stanno peggio di me, sia chiaro!), voglio continuare a credere nel nostro paese! Voglio che smentiamo la Cassandra! Voglio dimostrare ai profeti che il futuro si costruisce non si aspetta come fosse un destino ineludibile!

E, visto che oggi il sole mi mette di buonumore… Fanculo anche ai Maya! Che il 2012 sia radioso per ciascuno di noi e che il 2013 sia ancora meglio! Alla faccia del pessimismo cosmico!