Archivio mensile:novembre 2011

Paralleli antipodici

Due paesi a confronto, il Giappone e l’Italia. Alcune similitudini, tanti contrari.

Partiamo dai dati grezzi, brutali, per cercare di infiocchettare una qualche riflessione.

Il Giappone ha un rapporto debito/PIL oltre il 200%, l’Italia attorno al 120%. Il Giappone è in recessione da prima dello tsunami del marzo scorso, noi entreremo “ufficialmente” in recessione nel 2012, non prima del secondo trimestre. Il Giappone ha un deficit pari ad oltre l’8% del PIL, mentre quello dell’Italia si attesta al 4,5%. Se ci fermassimo qui, potremmo certamente dire che i nostri amici dell’estremo oriente non se passano affatto bene, e magari questo è pure vero, visti gli effetti della terribile calamità di 8 mesi fa, ma proseguiamo con un altro dato, un dato fondamentale nell’economia di questi anni. Il rating. Il Giappone ha mediamente un rating AA, l’Italia A+.
C’è qualcosa che stona? Si, se ci fermiamo ad un’analisi superficiale dei dati macro appena esposti, no se invece guardiamo ad una variabile fondamentale, che riguarda il debito. Chi detiene i titoli di stato. Ecco che emerge la differenza fondamentale del Giappone, non solo con l’Italia, ma forse con ogni altro paese del mondo. Il 97% del debito giapponese è in mano a giapponesi, il debito italiano, al contrario, è in mano “solo” per il 54% agli italiani.
Questa situazione crea un unicum nel panorama mondiale. I giapponesi se la cantano e se la suonano da sé, ma soprattutto sono patriottici. Punto.

Ora capisco quei soldati che 70 anni fa si lanciavano sulle portaerei americane!

I giapponesi se ne fregano dei rendimenti che sarebbe possibile ottenere sui mercati internazionali ed investono nel proprio paese, che appare così solidissimo, nonostante sia seduto su una polveriera naturale, la Cina lo stia cannibalizzando, abbia una popolazione molto vecchia, un’inflazione in crescita, un debito pazzesco, e soprattutto stia più o meno stagnando da anni.

Come potrebbe la speculazione attaccare questo paese? Semplicemente non può, o almeno potrebbe farlo soltanto se gli stessi giapponesi, attanagliati in una crisi nerissima (e dico nerissima!) non riuscissero a rifinanziare le obbligazioni del proprio paese in scadenza, entrando così in un vortice che, involontariamente, li condurrebbe a fare harakiri (per restare in tema) e dunque a boicottare i propri risparmi… Eh beh… Questo è francamente inverosimile!

Insomma, quante cose potremmo imparare dai nostri amici dagli occhi a mandorla!

Gli ultimi del team Monti

Questa sera è uscita la lista dei sottosegretari del Governo Monti. Come succede sempre in Italia, c’è una notizia buona ed una cattiva. La buona è che sono meno di quanti ne erano stati preventivati, la cattiva è che non appena è venuto fuori di un nome (semi)politico è scoppiato il solito putiferio italian style.

Al solito, quindi, la nostra classe politica dimostra la sua pochezza e quel suo istinto di autoconservazione che è la peste del nostro paese. Eppure, pare che non possiamo fare a meno della politica, delle istituzioni ed, in generale, di una classe dirigente che non sia squisitamente tecnica.

Leggete qua: http://www.project-syndicate.org/commentary/frankel7/Italian … Vediamo…

Intanto, forza Mario, non sarà facile, ma spero tu possa dimostrare ai nostri amati(odiati) politici che gli italiani seri do it better.

Io ci spero.

Corsi e ricorsi…

Conoscere il passato non è assolutamente garanzia per il futuro, su questo non ci piove. È pur sempre vero però che è bene conoscerlo – e non dimenticarlo! – perché spesso quanto è avvenuto nel passato può darci interessanti chiavi di lettura per quello che può succedere nel futuro.

A tal proposito, vi propongo una lettura interessante, che potete trovare in lingua originale qui (http://www.guardian.co.uk/global/2011/nov/24/debt-crisis-germany-1931) oppure, se vi fidate, leggerne una mia traduzione (per quanto raffazzonata) di seguito:

Nella crisi del debito di oggi, la Germania rappresenta gli Stati Uniti del 1931
La storia della Germania mostra che imporre il declino economico ad altre nazioni induce ad immagazzinare problemi per il futuro

“Un paese che affronta un abisso economico e politico. Il governo è sull’orlo della bancarotta e persegue feroci politiche di austerità, si assiste ad enormi tagli nel pubblico impiego e le tasse vengono drasticamente aumentate, l’economia crolla ed il tasso di disoccupazione esplode, la gente lotta per strada mentre le banche collassano ed il capitale internazionale abbandona il paese. È la Grecia nel 2011? No, la Germania del 1931.
Il capo del Governo non è Lucas Papademos, ma Heinrich Brüning. Il “cancelliere della fame” tagliò per decreto le spese del governo per decreto, ignorando il parlamento mentre il PIL cadeva senza freni. Due anni dopo Hitler avrebbe preso il potere, otto anni più tardi sarebbe iniziata la Seconda Guerra Mondiale. La situazione politica di oggi è ben differente, ma le analogie economiche sono spaventose.
Come nei paesi in crisi di oggi, il problema fondamentale della Germania del 1931 era rappresentato dal debito estero. Gli Stati Uniti erano il più grande creditore della Germania, i cui debiti erano denominati in dollari americani. Dalla metà degli anni ’20, il governo tedesco aveva preso in prestito all’estero – contraendo così debiti esteri – ingenti somme per far fronte al pagamento dell’oneroso debito di guerra imposto da Francia e Gran Bretagna. Quel medesimo debito estero – si ricordi – aveva finanziato i ruggenti anni ’20 della Germania, il boom economico scaturito dopo l’iperinflazione del 1923. Come Spagna, Irlanda e Grecia nei nostri anni, il risveglio della Germania degli anni ’20 era stato causato da una bolla nel credito.
La bolla puntualmente scoppiò quando i mercati finanziari degli Stati Uniti crollarono nel 1929. Investitori e banche furono colpite duramente, persero fiducia ed ridussero i loro rischi, specialmente ritirando gli investimenti in asset europei. I flussi di credito verso la Germania, l’Austria e l’Ungheria si fermarono all’improvviso. Gli investitori americani, non fidandosi più, non volevano più marchi tedeschi, bensì solo dollari, moneta – ahimé – che la banca centrale tedesca, la Reichsbank, non poteva stampare. Il ritiro in massa di dollari dalla Germania – soprattutto dai depositi nelle banche tedesche – condusse rapidamente all’esaurimento delle riserve valutarie della Reichsbank.
Per poter ottenere dollari, la Germania avrebbe dovuto trasformare l’enorme deficit delle partite correnti in un surplus. Ma, come accade nei paesi in crisi oggi, la Germania era intrappolata in un sistema monetario con tassi di cambio fissi, il gold standard, e non poteva svalutare la propria moneta. Si scelse di abbandonare il gold standard ed il cancelliere Brüning ed i suoi consiglieri economici iniziarono a temere che gli effetti di una forte svalutazione della moneta avrebbero condotto ad un replay del 1923, all’iperinflazione.
Senza liquidità in dollari dall’estero, l’unico modo per il governo di ribaltare i saldi correnti era quello di tagliare costi e salari. In due anni Brüning tagliò la spesa pubblica del 30%. Aumentò le tasse e tagliò i salari e le spese di welfare di fronte ad una montante disoccupazione ed una crescente povertà. Il PIL scese del 8% nel 1931 e del 13% l’anno successivo, la disoccupazione crebbe del 30%, e il denaro continuò a fluire fuori dal paese. Le partite correnti passarono così da un enorme deficit ad un piccolo surplus.
Il problema però era che a quel punto non c’erano più abbastanza dollari disponibili nel mondo. Nel 1930 il Congresso degli Stati Uniti aveva introdotto la tariffa protezionistica Smoot-Hawley che teneva le importazioni fuori dal paese. I paesi con debiti denominati in dollari erano così tagliati fuori dal mercato degli Stati Uniti e non potevano così ottenere i soldi necessari ad onorare i loro debiti. La situazione non migliorò neppure quando il presidente Hoover propose una moratoria di un anno per tutti i debiti esteri tedeschi. Alla moratoria si opposero sia la Francia – che pretendeva il pagamento delle riparazioni di guerra – sia il Congresso degli Stati Uniti. Quando nel dicembre del 1931 alla fine tale moratoria fu approvata ormai era troppo poco e troppo tardi.
Nell’estate del 1931, infatti, le banche tedesche avevano cominciato a cadere causando sia una stretta creditizia che la necessità di grandi pacchetti di aiuti pubblici per salvare i gruppi più grandi. Le banche dovettero essere chiuse ed il governo tedesco dichiarò il default. La moratoria di Hoover ed la politica di espansione fiscale sotto il successore di Brüning, von Papen, arrivarono troppo tardi: fallimenti e disoccupazione permisero ai nazisti di guadagnarsi terreno politico.
I paralleli con la situazione economica di oggi sono spaventosi: Grecia, Irlanda e Portogallo devono perseguire politiche di austerità feroci imposte dalla pressione dei paesi creditori e dei mercati finanziari al fine di ribaltare i saldi correnti da deficit a surplus, ma il tasso di disoccupazione in Grecia è al 18%, in Irlanda al 14%, in Portogallo al 12% ed in Spagna addirittura al 22%. E coloro che potrebbero aiutare non fanno abbastanza. La Germania ed i banchieri centrali tedeschi chiedono drastica austerità e danno soltanto aiuti insufficienti in cambio – troppo poco e troppo tardi, anche in questo caso.
Molto si sarebbe guadagnato dalla Germania nel 1931 se gli Stati Uniti – e anche la Francia – avessero fornito la liquidità necessaria alle banche ed al governo tedesco. Forse la radicalizzazione politica sarebbe stata evitata. Per gli Stati Uniti, poi, coincise con la svolta isolazionista. Non vollero essere coinvolti nelle disordinate questioni europee.
Oggi la Germania gioca il ruolo degli Stati Uniti. Sia il parlamento che il governo esitano a fornire l’aiuto necessario ai paesi in crisi: nel quadro del EFSF la Germania vorrebbe garantire solo fino a 211 miliardi di euro di prestiti per ogni paese in crisi. Non è abbastanza. Nel 2008 le garanzie messe a disposizione per il solo sistema bancario tedesco furono di 480 miliardi di euro.
La Germania sia attacca ancora al proprio surplus nelle partite correnti. Queste sono, per definizione, deficit per i paesi in crisi e dunque non consentono a questi ultimi di guadagnare i soldi necessari al servizio del loro debito. Inoltre, la Germania si oppone fieramente ad iniezioni di liquidità in questi paesi da parte della BCE. Gli economisti tedeschi ed i banchieri centrali si giustificano dicendo di dover scongiurare la minaccia dell’inflazione. Ecco che si mescolano le lezioni storiche dell’iperinflazione tedesca del 1923 e la deflazione del 1931 con conseguente crisi occupazionale.
Questo errore di giudizio può facilmente ritorcersi contro: la reputazione della Germania in Europa sta scemando, sono cresciute drasticamente le tensioni politiche nei paesi in crisi con forte disoccupazione, ed anche l’eventuale rottura dell’Eurozona potrebbe minacciare l’economia tedesca, soprattutto le sue banche e l’export.
Gli Stati Uniti impararono a proprie spese cosa significasse assumersi la responsabilità della stabilità economica del mondo. La Seconda Guerra Mondiale fu una delle conseguenze della crisi (economica) degli anni ’30, crisi che probabilmente avrebbe potuto essere evitata.
Dopo aver fallito nel tentativo di stabilizzare il sistema economico del mondo nei primi anni ’30, dal 1945 gli Stati Uniti iniziarono a capire come solo la cooperazione economica possa portare ad un mondo pacifico e prospero. Con il piano Marshall e l’apertura del proprio mercato alle esportazioni europee, è stato possibile per il Vecchio Continente ricostruire la propria economia distrutta e, nel frattempo, gli esportatori statunitensi hanno potuto giovare della fame dell’Europa per beni di consumo e d’investimento.
Fino ai primi anni ’70 gli Stati Uniti sono stati leader nel commercio internazionale e nel sistema monetario – il sistema di Bretton Woods – che ha garantito la prosperità economica e un mercato libero basato sull’equità sociale ovvero i prerequisiti per le democrazie sociali.
Sia il pubblico che i politici tedeschi dovrebbero imparare dalla storia. La solidarietà con i paesi in crisi è nell’interesse di lungo periodo della Germania. Il governo tedesco dovrebbe smettere di abusare del suo potere nel dettare il declino economico delle altre nazioni (europee). L’alternativa è la stagnazione economica e l’aumento delle tensioni tra i paesi dell’area euro. Il verdetto ancora non è scritto, ma una cosa è certa: coloro che non sono disposti ad imparare dalla storia, sono destinate a ripeterla.”

Al solito… Riflettiamo gente, riflettiamo!

Per una visione del mondo basata sui fatti

Questo è lo slogan di un sito Web meraviglioso che ho trovato navigando nell’oceano della Rete. Sono talmente entusiasto di questo sito che consiglio a tutti di andare a vederlo, e magari di scaricare il software da desktop che permette di customizzare l’infinita quantità di dati presenti nei suoi archivi. Il sito in questione è http://www.gapminder.org/. Andateci! Ne vale veramente la pena.

E visto che siamo in tema, vi incollo una screenshot di un grafico relativo alla penetrazione di Internet nel mondo.

Come potrete vedere, si tratta di dati aggiornati al 2007. Sull’asse sinistro (y) avete il numero di internauti ogni 100 abitanti, sull’asse in basso (x) il reddito per persona (calcolato come rapporto tra PIL e numero di abitanti aggiustato secondo l’inflazione), in alto a destra vedete i colori corrispondenti alle zone geografiche del mondo (l’Europa, per intendersi, è l’arancione). L’ampiezza delle bolle, gli indicatori per ogni paese, è basata sul numero di abitanti.

Ho evidenziato solo alcuni paesi che ho ritenuto rilevanti e, tanto per cambiare, potete vedere che l’Italia è quasi maglia nera in Europa (o meglio nella Ue) e forse anche nei paesi sviluppati; solo la Grecia è messa peggio di noi. C’è da riflettere no?

Ora, dalla screenshot non potete navigare nel dettaglio… ma… è un motivo in più per andare su questo fantastico sito.

Fatevi una domanda quantitativa sul mondo e molto probabilmente troverete – gratuitamente – una risposta ragionevole. Fantastico.

Un paese di evasori… Anzi… Proprio di ladri!

La Banda Bassotti ci fa un baffo.

Oggi ho avuto modo di leggere alcuni articoli su evasori & co. e mi è caduto l’occhio su questo:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-11-21/atene-solo-contribuenti-dichiarano-170351.shtml?cq_mod=1321998142297

Al di là delle questioni elleniche che al momento lascio ai greci, purtroppo, per noi italiani, nell’articolo c’è un errore di calcolo evidente (anzi, forse ce n’è più di uno, ma lasciamo stare…): 796 italiani dichiarano oltre un milione di euro di reddito su 41,5 milioni di contribuenti corrispondono solo allo 0,002% e quindi siamo messi molto peggio di quanto emerge dal testo.

Ne consegue – evidentemente – che quanto la giornalista evidenzia sul conto della Grecia può essere evidentemente ribaltato sull’Italia.

Prendiamo come benchmark gli Stati Uniti, che hanno una concentrazione del reddito piuttosto simile alla nostra e molto simile alla media OCSE dei dieci paesi più industrializzati. In America ci sono 140 milioni di contribuenti, di essi 236.883 dichiarano oltre 1 milione di dollari (Attenzione! Un milione di dollari sono circa 750 mila euro al cambio degli ultimi mesi!), ovvero lo 0,17%. Una bella differenza rispetto al numero di ricchi italiani… Non vi sembra? Ora, va detto che la percentuale di italiani che guadagnano più di 750 mila euro sale ad un valore che non posso precisare (visto che non ci sono dati pubblici disponibili), ma vi basti pensare che solo un misero 0,19% dei contribuenti italiani ha dichiarato 200 mila euro di reddito (circa 77 mila persone).

I conti quindi non tornano. La coperta è corta, anzi, cortissima. Non è il caso di spingersi oltre nei calcoli, visto che dovremmo avere tutti i dati per fare un confronto davvero sensato, ma è evidente che i ladroni in Italia sono un numero imprecisato ed enorme. Se solo prendiamo gli sportivi ricchi, gli attori, i grandi imprenditori, è impensabile che solo 796, e dico 796, persone dichiarino oltre un milione di euro!

Come dicevo oggi con alcuni miei colleghi, sarebbe davvero l’ora di mettere le mani nel vaso di Pandora degli evasori, prenderli uno per uno, imporgli di pagare quanto dovuto, legare loro una bella palla di ferro al piede e mandarli ai lavori forzati! Basta, basta, e ancora basta!

La Weltanschauung di Sergio. Fase 2

Dal 1° gennaio 2012 la Fiat farà decadere in tutti gli stabilimenti italiani il CCNL dei metalmeccanici.

Speriamo vivamente che non intendano fare come nella vignetta.

Insomma, ormai è un fatto. In corrispondenza con l’abbandono effettivo di Confindustria, la Fiat intende far decadere l’attuale contratto dei propri 82.000 dipendenti per iniziare la stesura e, speriamo vivamente, la fase di negoziazione di un nuovo contratto che, nell’ottica dell’azienda dovrà favorire l’efficienza, la produttività ed anche il giusto compenso dei lavoratori.

Bah, le tre cose insieme mi sembrano un tantino difficili da realizzare, o meglio, le prime due vanno a braccetto, ma la terza…

Per adesso, l’unica reazione è stata quella della Fiom che ha minacciato non meglio precisate azioni legali. E gli altri che dicono? Gli altri sindacati, il Governo, dove sono?

Spero con tutto il cuore, per il bene del tessuto produttivo italiano e comunque per gli uomini che lavorano in quell’azienda che si apra una discussione chiara e netta su quelli che sono i veri obiettivi del management e su quanto si voglia tutelare i lavoratori.

Sarò pessimista, ma ho paura che la scelta di Marchionne e di Exor sia chiara. Non sarà forse il 2012 l’anno in cui Fiat sparirà dal panorama industriale italiano, ma…

… Al solito, ai posteri l’ardua sentenza.

Adios Zapatero

Zapatero in realtà se n’era già andato, con onore e rispetto per le istituzioni peraltro. Non come hanno fatto altri! Con lui se ne vanno le sue parole. Questo non sarà un epitaffio in memoriam, ma un semplice spunto di riflessione.

Con le elezioni politiche di oggi la Spagna volta pagina, e lo fa fragorosamente secondo quanto emerge dagli exit poll. L’uomo che ha polarizzato l’attenzione di una fetta importante della sinistra pan-europea e che si era dimesso alla fine di questa estate sulla scorta anzitutto di una crisi economica, che morde davvero in Spagna, abbandona il quadro politico iberico.

Il PP e la coalizione di centro-destra guidata da Rajoy tornano al governo dopo 7 anni e chiudono un’epoca tanto controversa quanto importante per la vita spagnola: l’epoca del governo socialista. La Spagna che dovrà governare Rajoy è un paese molto in difficoltà, con una disoccupazione che sfiora il 20%, una quantità abnorme di immobili invenduti che di fatto rendono il business delle costruzioni assolutamente asfittico, ma è anche un paese molto più moderno di quanto non lo fosse fino all’epoca di Aznar. La Spagna oggi è un paese molto più emancipato, è il paese degli indignados ed è un paese in cui, lasciatemelo dire, l’influenza oscurantista del cattolicesimo – comunque molto rilevante – è stata per lo meno rivista al ribasso.

Su quest’ultimo punto potremmo discutere a lungo, ma è un fatto ormai acclarato che le scelte politiche, spesso radicali, compiute da Zapatero, hanno segnato i rapporti Stato – Chiesa e, se da un lato le istituzioni religiose hanno fatto di tutto per non perdere la forte presa sulla popolazione (non per niente, le giornate mondiali della gioventù quest’anno si sono svolte a Madrid), dall’altro le scelte zapateriane hanno abbattuto il muro del bigottismo ed hanno reso la Spagna un paese più moderno.

Si chiude dunque un’epoca, se pur breve, che resterà davvero nella storia della Spagna che, in questi anni, ha tirato fuori un grande orgoglio (si vedano le vittorie sportive che, quando sono così tante, non vengono per caso) e una grande voglia di non essere tra le pecore nere dell’Eurozona, nonostante scelte di politica economica tutto sommato discutibili che hanno generato alla fine quella bolla, puntualmente esplosa, che oggi strozza ogni velleità di ripresa.

Ti saluto, dunque, caro Zapatero, peccato però che non possa farlo con tutta la stima che avevo per te fino a qualche anno fa! La legge che ha previsto l’introduzione del pareggio di bilancio in costituzione – che sicuramente ti hanno bisbigliato all’orecchio quelle due pesti della Merkelona e Sarkò! – te la potevi proprio risparmiare. Il popolo si è “indignato” con te (sebbene la legge sia stata votata in modo bipartisan), ma soprattutto si rivelerà un ennesimo laccio con cui i tuoi concittadini spagnoli potranno strozzarsi!

Big Crunch a base di crauti?

Oggi mi limito a consigliarvi una lettura, o meglio due letture, visto che l’articolo del Telegraph citato va letto…

http://giuseppechiellino.blog.ilsole24ore.com/il-paese-delle-imprese/2011/11/il-piano-b-di-berlino-e-parigi-mette-in-gioco-il-ruolo-italiano-nella-ue.html

Che sia fantapolitica o meno, la proposta esiste, e fa paura. Speriamo che il nuovo Presidente del Consiglio si faccia sentire! La Merkelona ci avrebbe anche rotto le scatole.

Tecnocrazia

Da questa sera l’Italia ha un governo completamente tecnico. Ora, si potrebbe obiettare che nessun uomo è in toto apolitico ed asociale, ma un Governo come quello che ha giurato oggi a Roma rappresenta forse il primo caso italiano in cui neppure un(a) uomo(donna) abbia una qualche esplicita estrazione politica.

Premesso che auguro alla nuova squadra di ministri il miglior successo possibile in quanto – da italiano, ed amante dell’Italia – spero in un futuro migliore per tutti noi, credo che dobbiamo riflettere ancora su quello che sta succedendo nel nostro Paese.

Per quanto, come più volte detto, viviamo in una situazione di estrema emergenza, un Governo come quello di Monti ha davvero le sembianze di un team di commissari. Mai nella storia, smentitemi se sbaglio, abbiamo avuto una quindicina di tecnocrati alla guida del nostro Paese. Intendiamoci, per quanto ami la politica, negli ultimi anni l’Italia è diventata un covo di burocrati ed arrivisti che, oggi più che mai, ha rafforzato quel potere di “casta” che ha incancrenito la vita pubblica della nostra Italia. Una ventata di aria totalmente nuova come quella che si accompagna al Governo Monti credo non possa fare peggio dello status quo ante.

Il problema però resta, e, paradossalmente, in futuro potrebbe anche esacerbarsi. Ci troviamo di fronte, nei fatti, ad una politica che è stata davvero esautorata del suo potere, o almeno del potere esecutivo che, per Costituzione, appartiene al governo democraticamente eletto.

Si torna a quanto scritto nel precedente post: la democrazia come la conosciamo oggi in Italia è morta? Non credo, o almeno spero che non lo sia. Per quanto pieno di Impresentabili, il Parlamento ancora esiste, il Presidente della Repubblica pure, le strutture dello Stato anche. Quel che manca, semmai, è la legittimazione di un governo che non è uscito dalle urne. Credo, e spero, che la situazione sia transitoria. Anzi, voglio essere sicuro che la situazione sia transitoria perché, per quanto si abbia davvero bisogno di tecnocrati e, ancora di più, si abbia bisogno di mettere un sacco di cose a posto, il rischio concreto sarebbe di trasformare l’Italia in quello che alcuni politologi hanno definito “regime liberale”, ovvero in una democrazia che si fa antidemocratica.

La democrazia rappresentativa si fonda sull’idea del volere popolare e quindi, per estensione, sull’idea di auto-governo della popolazione. Negli ultimi anni purtroppo la democrazia è stata lentamente, ma inesorabilmente, esautorata della rapprensentatività tenendo il soggetto – il popolo – lontano dalla gestione della res publica che, per converso, è stata preda di piccole élite ed oligarchie partitiche (pesudo-partitiche e parapartitiche) che ne hanno preso il controllo.

Il nuovo Governo dei tecnocrati, dunque, dovrà rispondere a due sfide e si reggerà su un sottile filo di lana. Da un lato dovrà affrontare la cogente situazione economica, dall’altro dovrà riscoprire quel lato della politica (positivo, io credo) che consiste nel FARE. Nel caso dovesse riuscirci, io credo, potrebbe essere davvero un toccasana per risvegliare le coscienze di un paese di dormienti (e disamorati… passatemi il termine) come il nostro.

Buon lavoro Presidente Monti. A te ed alla tua squadra. Fateci riscoprire il fascino intrinseco della πρᾶξις (prassi).

Emergenza democratica

La crisi greca prima e l’incendio italiano oggi (com’è stato definito dall’Economist nello splendido editoriale dal quale è stata tratta l’immagine qui sopra) ha messo a nudo i limiti della democrazia continentale. Sia chiaro, non siamo di fronte a rischi di autoritarismo, o di ritorno ad un qualche tipo di regime, bensì siamo di fronte ad una stagione realmente nuova nei rapporti tra il cittadino – l’elettore – e la rappresentanza politica – gli eletti.

Quanto abbiamo visto nelle ultime settimane con le dimissioni di Papandreou prima e di Berlusconi ha reso esplicita una cesura netta, che finora avevamo potuto solo intuire nei casi di Irlanda e Portogallo, tra la rappresentanza politica ed il popolo elettore.

Ciò che è avvenuto, che è diretta conseguenza di una chiara debolezza politica ed ancor di più economica di questi paesi (sovrani), è la caduta di governi non per sfiducia nelle sedi parlamentari, non per sommovimenti popolari, ma a causa di una “coazione” (passatemi questo termine cacofonico) dei paesi “virtuosi” dell’Eurozona veicolata dalla forte pressione del Mercato, per quanto quest’ultimo abbia come preda vera (si deve star sempre attenti a parlare di predatori e prede quando si parla del Mercato…) l’intera Ue con le sue debolezze prima politiche e poi economiche.

Come, giustamente io credo, fa notare l’Economist, dopo il G20 della scorsa settimana, sono caduti due grandi tabù che hanno aperto scenari nuovi, e che senza dubbio non erano stati preventivati quando sono stati redatti i trattati costituenti l’Unione Europea. Dopo Cannes, in effetti, è stato chiaro che, da un lato, un paese membro può andare in default e di conseguenza lasciare l’Eurozona (ed in quel caso il soggetto in questione era la Grecia), dall’altro, che la politica comunitaria può agire deliberatamente nella politica interna di uno dei membri (il commissariamento dell’Italia e la pressione verso le dimissioni del Governo).

Ora, al di là dei giudizi di merito, che senza dubbio dovranno essere affrontati visto che ormai il polverone è stato sollevato, è chiaro che gli eventi ha soverchiato lo scenario democratico dell’Europa. I cittadini, infatti, in nessuna delle due situazioni sono stati chiamati ad esprimere il loro parere su quale sarebbe dovuta essere la via d’uscita (politica) allo stallo venutosi a creare. Nei fatti, quel faro di eguaglianza, laicità, e di mutuo soccorso, che dovrebbe essere la nostra casa Europea è come se avesse applicato una qualche legge marziale, un diritto di guerra nel quale l’occupante comanda in nome e per conto del popolo… popolo al quale, però, viene sospeso ogni diritto politico.

Pare brutto parlare così, eppure eppure, non è accaduto qualcosa di molto diverso. Non neghiamocelo.

Certo si può obiettare: right now the emphasis needs to be on firefighting, come fa notare l’Economist. Ed è sacrosanto, io credo. Combattiamo l’emergenza, con l’emergenza, salviamo il salvabile, ed è sia la medicina giusta, per quanto amara. Quando il fuoco sarà spento (sperando che della casa non resti che un cumulo di macerie!), dovremo contare i danni, ed iniziare a ricostruire. Sarà allora che il popol(in)o sarà ri-chiamato ad esprimersi sull’operato dei pompieri e della protezione civile, come l’ha chiamata qualcuno.

Se vogliamo che ognuno di noi non ricostruisca SOLO la propria casa, isolata da quella degli altri, e con regole proprie, dobbiamo accelerare il processo di integrazione europea, dobbiamo far capire alla comunità (vera), ai cittadini europei, che al di là delle differenze, al di là del virtuoso e del vizioso, al di là del biondo e del moro, al di là di quello del nord e di quello del sud, siamo tutti nella stessa barca e che una vera democrazia rappresentativa a livello continentale sarà possibile solo se basata su solide regole di politica monetaria, di bilancio comune e su quella Costituzione Europea, che ormai si è arenata dopo i mille referendum nei quali ha ottenuto sonore sberle.

Un tedesco potrebbe dirmi: “è facile parlare per te che sei italiano e che hai solo da guadagnare nel mutuare le buone pratiche di noi virtuosi.” Io, senza vergogna, gli direi di star bene attento perché con questi chiari di luna anche la sua casa non è al sicuro dato il sistema economico sanguinario che stiamo vivendo e che solo con una massa di almeno mezzo miliardo di persone – forse e ripeto forse – si può competere con le potenze emergenti e con gli Stati Uniti.

Non so se esista una leva in grado di spingere tutti noi europei verso l’accordo, ma voglio credere che ci sia. Certo, mettere da parte i nazionalismi è ben più difficile che andare sulla Luna, ma forse tra un paio di generazioni… Il vero problema è che non abbiamo tutto quel tempo, per cui diamoci una mossa e, per quanto viviamo in tempi non “troppo” democratici, sfruttiamo l’emergenza per conoscerci meglio, e magari legarci in modo più stretto e forte… Potremmo diventare gli “angeli del fango (metaforico, ovviamente) della democrazia europea”!

Ma – ahimé – forse è davvero solo un sogno.