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Voci dalla palude

PaludeRispettosa massaia della palude: “Da massaia vorrei capire se il piede me lo schiaccerà una bicicletta o un autoarticolato. Pur nell’ignoranza di molte questioni, vorrei avvicinarmi alla realtà delle cose ed alla responsabilità delle azioni. Il “cabarettista mancato della Concordia” (alias Silvio B.) il giorno 4 dicembre si è svegliato e ha detto: “L’Italia ha bisogno di me, che riempio i ristoranti”. Vorrei capire se fosse possibile stimare con un certo grado di oggettività quanto ci è costata l’uscita di quello di cui sopra, dell'”autore di Apicella”, del “costruttore di mausolei”. Questo chiedo.

Sul lato squisitamente politico, la cosa che mi fa rabbrividire è il giochetto che si reitera da troppi anni fatto di campagna elettorale permanente, di caccia agli scranni e di modifiche più o meno sistematiche di leggi per l’interesse di sparuti gruppi di persone e la sopravvivenza di imperi di privilegio coperti da nebbie fitte (e se fitte non sono, si abbuia tutto e si nega l’evidenza). Tutto questo fa PAURA. L’altra sera ho visto Ignazio a 8 e 1/2 che con tono di pomposo disprezzo asseriva come dei tecnici non possano fare cose che spettano solo ai politici perché: “Politici non ci si improvvisa”, eppure ce ne sarebbero di politici da eliminare (Scilipoti? ora pure Flavia Vento?)… Sono una tecnica, ed ignorante, ma mi piacerebbe sapere quali siano le capacità che dovrebbero avere questi politici e che non potrebbero avere i tecnici, cheneso, una Cancellieri o un Passera. In qualsiasi partito questi fossero, credo sarebbero da preferire a qualsiasi dei nostri politici. In fondo il gradimento di cui gode ancora Monti dopo i salassi e le bastonate che ci ha dato, ritengo che sia significativo.

Sarebbe l’ora che qualche politico si svegliasse perché novelle l’Italia forse non ne vuole più sentire. Nonostante il bombardamento mediatico degli ultimi anni, un po’ di cultura nel nostro paese è rimasta. Prendiamo una barca ed il suo comandante. Il comandante di una barca che sta su un fiume con un bicchiere di benzina che si trovasse sopra ad una cascata, sa per spirito di conservazione che se rallenta (nel breve periodo) risparmia carburante, ma sa anche che avvicinandosi pericolosamente alla cascata se non si spiccia ad arrivare a riva a fare rifornimento… presto non ci sarebbe più né lui né mozzi e neppure schiavi, ma solo cibo per pesci. Nel caso di un comandante sprovveduto che non chiedesse per tempo al motorista di calcolare l’autonomia (sperando che almeno questo ricopra il suo ruolo per merito!) per poter raggiungere la riva, l’unica salvezza sarebbe qualcuno dall’esterno. In un caso del genere, però, che posizione avremmo poi nel negoziato? Chi avesse tanto e potrebbe pagare bene, comanderebbe, gli altri – i salvati della barca alla deriva – sarebbero destinati all’obbedienza. Un comandante invece che proponesse una via razionale per uscire dal fiume, conoscendo i numeri veri, non avrebbe problemi a riportare la barca in salvo. Costui potrebbe riportare anche la gente alla politica, quella gente che ormai non vota e sta a casa perché è stanca di votare pure il meno peggio.

In tutto ciò un’enorme colpa è anche dell’informazione. Che sia pilotata da un disegno oscuro? Per fare la sua parte, avrebbe dovuto spingere la gente ad usare in primis il cervello. Non dico di restaurare il pensiero unico e di vietare l’opinione, ma tra questo e tollerare tutto ce ne passa. Io instaurerei un format per i dibattiti, per esempio. Tipo le primarie per intendersi, con tempi contingentati, ma con scossa elettrica finale nel caso di sforamento dei tempi o di innalzamento eccessivo del tono di voce oppure in caso di risposta fuori tema e contesto. Ecco, per esempio, i componenti dell’attuale governo io penso passerebbero indenni un format di questo tipo, magari ci sarebbe poco colore, ma rispetto a qualsiasi altro nostro politico non ci sarebbe storia. Ecco bisognerebbe ripartire da quanto di positivo ha portato questo governo sulla scena politica. Il decoro, il rispetto di programmi ed istituzioni, ecc. Se l’informazione fosse fatta di contenuti, di discussioni meno astiose ed in generale informasse davvero, il cittadino potrebbe farsi un’idea, e questo è banale. Sarebbe doveroso verso gli italiani ottenere un po’ di verità dai mezzi d’informazione, ed un format più vero potrebbe pure fare audience, se condotto come si deve. Si guardi al successo che i dibattiti dei candidati alle primarie del PD hanno ottenuto. 
Parliamo però pure un po’ del Nano. Io credo che questo sia tornato più per il Dl sull’incandidabilità che sul ritrovamento del vecchio nemico Bersani. Ghedini gli ha detto: “Silvio, ti devi parare il c**o!” Se avesse vinto Renzi penso che sarebbe tornato ugualmente, magari più avanti, ma lo avrebbe fatto comunque con un quadro legislativo mutato che non gli garantisce l’immunità a vita. Io penso che o Bersani e la sua truppa trovano da subito un’unità programmatica per un piano di uscita dal baratro (che sia o meno sulla linea di Monti) oppure siamo alle solite. C’è da riportare l’efficienza nella pubblica amministrazione, c’è da garantire e finanziare il merito con buona pace dei sindacati che devono mettersi al passo coi tempi e non garantire nello stesso modo uno che lavora bene e uno che lavora consapevolmente male. Ecco, questa è una prima questione da affrontare. Dai sindacalisti è gradita una risposta esaustiva e risolutoria. Ci vuole o no il pugno di ferro con chi va avanti senza far niente, o addirittura facendo lavorare il vicino di scrivania? Ci vuole o no la spranga con chi si inguatta dietro a coloro che si spaccano la schiena e magari prende più soldi di quel che merita? E al dirigente che ha permesso tutto questo? Niente neppure a lui?
Poi ci sarebbe da parlare di evasione, ma su quella c’è poco da ragionare. Processi per direttissima, niente più patteggiamenti, si paga e se non ci si fa a pagare si bloccano i beni rateizzando il dovuto al tasso d’inflazione. Punto. 
Alla fine, comunque il problema nodale è il futuro, o no? Ecco per noi i problemi del futuro sono energia, lavoro, giustizia, equità e demografia (nel senso dell’età media del paese). E allora, visto che lo sappiamo, che ci si dà una mossina? Snellire iter, procedure, cavilli e chi più ne ha più ne metta, mandare a casa un po’ d’avvocati e imporre tempi certi per i processi, ecc. Tutto finalizzato ad attrarre lo straniero che oggi ci sta lontano e non si fida di noi. Ci starebbe bene una patrimoniale ed il Dl sull’incandidabilità lo semplificherei, sai com’è, facciamo che eleggiamo solo incensurati, in fondo se vogliamo andare a lavorare oggi ci chiedono carichi pendenti e casellario giudiziale, perché i nostri politici dovrebbero esserne esenti?
Infine vorrei dire una parola anch’io su Bersani. Ad oggi, lo dò con probabilità del 40% come un moderno Caronte, non a causa del Vendola di turno, o di un Monti-bis… Io penso che gli italiani stiano già mettendo in conto di avere domani un 14 luglio come i cugini francesi… Questo penso”.
 

Mezzuomo: “Cara la mia massaia. In effetti l’Italia sembra proprio la palude in cui tu abiti. Tutto ciò che dici è per molti versi sacrosanto, ma mi permetto giusto di fare due appunti a quanto affermi.

La prima questione riguarda i tecnici VS i politici. Quel che possiamo salvare di questi 13 mesi di governo Monti credo sia il fatto che siamo stati guidati da un governo fatto da persone competenti, che sanno il fatto loro e che si sono rivelate persone perbene, almeno all’apparenza. Persone credibili che, per quanto costrette a svolgere un lavoro sporco, hanno ricevuto un sostanziale apprezzamento dalla popolazione. La dimostrazione di ciò, come tu giustamente dici, è il fatto che l’indice di gradimento di Monti è ancora decente, nonostante tutto. Quel che ci hanno dimostrato è sicuramente che la politica di oggi è per molti versi un affare per tecnici, a dispetto di quanto pensi il tuo amico Ignazio. Il limite però che io vedo almeno in questi tecnici è la totale mancanza di percezione della pancia del paese di quelli che sono stati e sono i suoi bisogni. Ecco, questo io credo è il limite del tecnico. Non ha il contatto con la gente che può avere un politico che, con la sua struttura capillare, può e deve ascoltare quel che il paese reale chiede. Per questo io penso sia necessaria la politica, per questo non auspico un Monti-bis e per questo penso che la politica in sé abbia ancora un significato. In un’Italia ed un mondo perfetto vorrei avere un primo ministro politico con almeno una metà del consiglio composto da ministri tecnici soprattutto in ministeri cardine quali l’economia, il lavoro, la giustizia e le attività produttive e ministri politici per quanto attiene gli interni, gli esteri e la difesa, tanto per dare un’idea. La guida però DEVE essere politica e DEVE prima di tutto essere in grado di ascoltare la gente.

La seconda questione riguarda il Nano e gli errori di questa fine legislatura da parte del PD e, secondo me, di Napolitano. Dopo lo sberleffo del PdL dell’altro giorno si doveva aprire la più classica delle crisi di governo. La questione dello spread è fuffa, aria fritta. Se anche non fosse successo niente di tutto quel che abbiamo visto, a marzo i mercati ci avrebbero impallinato ugualmente. Ormai s’è capito che ai mercati non piace la democrazia con tutte le sue lentezze e magagne e che preferisce di gran lunga un governo che agisca nelle tasche delle persone favorendo i grandi centri di potere e di finanza. Quel che faccio è prima di tutto un ragionamento logico: la maggioranza non c’è più ergo si procede alla crisi. I mercati ci avrebbero impallinato (come peraltro stanno già facendo) per un tempo relativamente breve, avremmo potuto caricare il PdL delle sue responsabilità oggettive dell’aver indotto questo stato di cose e saremmo partiti immediatamente con un brevissima campagna elettorale che ci avrebbe portato al più tardi a votare a febbraio. Perdere altro tempo lede la gente e politicamente Bersani ed il PD, perché, se ci hai fatto caso, le primarie son state cancellate già, il dominus della politica italiana (e dell’informazione che ne gravita intorno!) è tornato ad essere il Nano e ormai non si parla che di lui. E più spazio si dà al Nano e più lui si gonfia e fagocita tutto ciò che ha intorno.

Se vogliamo uscire dalla palude, e magari tu cara massaia potresti andare a cercarti una casa in un luogo un po’ meno umido, dobbiamo agire. La prassi è il motore di tutto, il tempo è prezioso ed il treno della novità, del progresso, del tentativo di cambiare le cose non aspetta. Una volta che è perso, è perso per sempre.

Bisogna fare presto. Vinceremo, su questo son sicuro. Il Nano è sconfitto, ma mi chiedo perché non siamo decisi? Perché non diamo il colpo di grazia a lui ed a tutti i berluscones? Che sia perché la politica italiana ha in sé un qualche spirito di autoconservazione? Se fosse così… Sì, spero proprio in una rivoluzione vera. Spero proprio di aprire la Terza Repubblica dopo aver assaltato Montecitorio e Palazzo Madama!”

Il vero dilemma. Se non ora, quando?

Negli ultimi giorni sono stato un po’ latitante.

In poco più di due settimane dall’ultimo post abbiamo assistito ad un susseguirsi di fatti ed eventi di un’importanza tale da meritarsi ciascuno più di una riflessione. Per non farci mancare niente poi, proprio mentre sto scrivendo, in America si vota in quelle che saranno ricordate come le elezioni presidenziali più tirate dai tempi della sfida di un’epoca fa tra Bush e Gore (anno 2000), e scusate se è poco.

In Italia l’attenzione è concentrata sulla corruzione dilagante (o meglio ormai endemica!), sulla legge elettorale e sulle primarie dei due principali partiti, sul grillismo che ormai è una realtà con cui fare i conti, sul tramonto dell’integerrimo Di Pietro, su Marchionne e le sue mosse di rottura dell’ordine costituito ed infine su di un Governo che ormai ha oggettivamente il fiato corto. In Europa siamo sospesi tra la polveriera greca, l’indecisione spagnola, la lunga corsa elettorale della Merkelona e le manie di potenza (mai sopite) dei francesi e del loro governo (non me ne voglia il signor Hollande). In America, manco a parlarne, si vola a colpi di sondaggi e spot verso quello che domani sarà eletto come nuovo presidente degli Stati Uniti. La Cina pure è alle prese con il rinnovo delle cariche di governo, anche se lì siamo ben lontani dai pregi e difetti del processo democratico che conosciamo in Occidente.

E poi? E poi c’è ancora un mondo di eventi che si susseguono ad un ritmo tale da non riuscire a vederne nessuno con il giusto occhio critico. Per questo, forse, ho deciso di prendere un po’ di tempo, per riflettere e vedere se fosse mai possibile scorgere appena un po’ oltre l’apparenza delle cose nella speranza di cogliere quel filo, quel legame che potrebbe (o dotrebbe) consentire una visione più organica del modo in cui va il mondo politico ed economico in questi tempi tribolati.

Un’idea tutta mia me la sono fatta e si basa, manco a dirlo, sulla natura intrinseca dell’uomo inteso come animale, o meglio animale (razionale) della specie homo. Il punto di fondo è, secondo me, che l’uomo – per la sua natura di animale – tende all’autoconservazione in ogni ambito della sua vita. A differenza però di un maiale (non me ne voglia quel grazioso animale), l’uomo persegue il suo obiettivo di sopravvivenza e conservazione usando la mente, cioè quella straordinaria capacità che gli ha messo a disposizione l’evoluzione. L’uomo insomma pensa, sperimenta, razionalizza ed evolve nei comportamenti al solo scopo di conservarsi nel mondo.

Per questo motivo, io credo, se guardate alle dinamiche della politica potrete accorgervi anche voi che è molto più “facile” perpetrare comportamenti atti alla conservazione dello status quo piuttosto che cambiare, e questo è vero almeno finché non si abbia davvero qualcosa da perdere o quando l’ambiente che ci circonda non ci metta così alle strette da dover “davvero” cambiare. E ancora, è in questo contesto che si giustificano quei mondi così restii al cambiamento come le istituzioni, la politica e le stesse dinamiche economiche.

Mi sbaglio? Forse sì, ma credo che questo sia il dilemma vero dei tempi che stiamo vivendo. Non sarà il caso forse di prendere il coraggio a due mani e fare quel salto nel buio verso quel progresso che ciclicamente nella storia ha fatto veramente cambiare le cose?

Due, tre, quattro… Enne pesi per enne misure

 

Avrei potuto intitolare quest’articolo molto più semplicemente Tobin Tax, ma sarebbe stato troppo semplice.

Penserete di aver capito di cosa parliamo, ma vi sbagliate.

La questione Tobin Tax è solo il pretesto per riflettere sulla pochezza dell’Europa e della sua unione politica.

Vediamo di chiarirci. La Tobin Tax, appunto, è una tassa sulle transazioni finanziarie di cui si parla da decenni. Viene proposta dal premio Nobel James Tobin al fine di disincentivare la speculazione e raccogliere proventi da destinare all’aiuto allo sviluppo.

In effetti si tratta, secondo il mio modestissimo parere, di una delle poche tasse sacrosante. Il principio su cui si basa è ineccepibile: si tassano gli speculatori (che in genere sono pure ricchi) in modo da abbattere la volatilità dei mercati spingendo così ad entrare sul mercato al fine di investire e non per creare/distruggere valore sul nulla.

Se le cose stessero così, non dovremmo neppure ragionare della tassa di Tobin. Dovremmo applicarla e basta. Ovviamente, però, nell’Italia (e nell’Europa) di oggi si è perso ogni contatto con la realtà e si riesce a rendere sbagliata anche una tassa che dovrebbe apparire indiscutibile.

Il problema che emerge in modo lampante in questi giorni è duplice. Da un lato nel contenuto la Tobin Tax delineata dal Governo Monti è un abominio da ogni punto di vista, dall’altro, la direttiva sulla Tobin Tax approvata da soli 10 su 27 paesi in Europa è un abominio prima di tutto politico e porterà con sé probabilmente problemi economici non indifferenti, quantificati in almeno un mezzo punto di PIL a livello europeo.

Andiamo con ordine. Il primo punto. La Tobin proposta da Monti fa obiettivamente schifo, scusate la finezza, è iniqua in quanto colpisce tutte le transazioni, grandi e piccole, con la stessa aliquota ed economicamente perdente in quanto, favorendo una diminuzione forte dei volumi e della liquidità sul mercato, porterà forti scostamenti dei prezzi e scambi modestissimi, cosicché la nostra borsetta potrà diventare terra di conquista per molti stranieri che, peraltro, la tassa non la pagheranno in quanto domiciliati fiscalmente fuori dai nostri confini. Altro problema riguarda la fuga di società finanziarie italiane (e con loro fatturato e soldini) dall’Italia che avranno importanti vantaggi nel mettere radici in ogni altro paese accanto a noi che non contempli la Tobin. Infine, ultimo, ma non ultimo, non colpirà assolutamente coloro che, ad oggi, sono i veri predoni dei mercati ovvero quelle società di HFT (High Frequency Trading) che operano sul book di negoziazione inserendo e togliendo a velocità astrali ordini di acquisto/vendita eseguendone solo una minima parte (ecco perché sarebbe stato meglio ascoltare quelli che di mercati se ne intendono e spingono per una tassa da applicare agli ordini “ineseguiti”…).

Il secondo punto. Vogliamo o non vogliamo diventare gli “Stati Uniti d’Europa”? Ecco, questo è il nodo cruciale, l’argomento della discussione. L’indecisione nell’applicazione di questa tassa a livello europeo rischia di diventare l’ennesima dimostrazione che non siamo un entità politica unitaria. Il dissenso è legittimo, per carità, ma se in sede europea una direttiva passa a maggioranza, non ci possono essere distinguo da alcun paese facente parte dell’Unione quand’anche questi fosse contrario. O si applica tutti, oppure non l’applica nessuno. Il motivo è semplice. I paesi che l’applicheranno saranno evidentemente svantaggiati nell’attrarre capitali e la loro bilancia commerciale non potrà che risentirne. E questo è un fatto.

Siamo alle solite, se vogliamo il bene di questo piccolo angolo di mondo, dobbiamo scardinare quel vecchio e trito modo di fare politica basato su campanilismi, ripicche. Enne pesi per enne misure, insomma. Se non riusciamo a farlo, allora bisognerà che ciascuno di noi pensi a son propre jardin restando tutti amici (o nemici) come prima accentando il fallimento dell’unico vero esperimento di democrazia internazionale dal dopoguerra ad oggi.

Soldi soldi soldi…

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… Tanti soldi…

Che settimana gente! Forse la più importante dell’anno. Gli esiti delle decisioni di questo scorcio fresco d’estate sono quanto mai incerti, ma pare che in questa settimana il mondo occidentale si sia in qualche modo svegliato.

La settimana scorsa Draghi che rilancia il piano di acquisto dei titoli di stato dei periferici open ended (senza una scadenza prefissata), poi la Corte tedesca che legittima il fondo Salva-Stati europeo, l’ESM, consentendo alla Germania di investire fino ad oltre 100 miliardi (se non sbaglio…), poi le elezioni olandesi che rilanciano i partiti europeisti ed infine oggi è tornato alla carica Helicopter Ben con il QE3 (anche questo open ended per non farci mancare nulla).

Ecco, se le notizie che vengono dall’Europa sono inequivocabilmente positive e vanno nella direzione coraggiosa degli Stati Uniti d’Europa, la mossa di Bernanke è secondo me quantomeno ambigua, ma è un fatto fondamentale di cui prendere atto.

Si badi bene, la ventata di ottimismo che nel breve-medio periodo porterà con sé tale mossa potrebbe essere tanto potente da restaurare un minimo di fiducia nell’economia americana prima e mondiale poi, ma non sono affatto sicuro che sia questo IL giusto modo di affrontare questo tipo di crisi. E Bernanke questo lo sa. E lo ha pure detto.

Aggiungere debito a debito senza un piano di sviluppo vero non consentirà di per sé di far ripartire l’economia reale (a tal proposito… la vignetta di cui sopra è meravigliosa!) tanto più se il fiume di denaro che s’immette nell’economia non fluisce verso coloro che ne hanno davvero bisogno.

Insomma, ho una paura matta che tutta quest’ondata di sghèi sarà assorbita da quella spugna gigante che è Wall Street e non arriverà mai sulle strade, all’uomo comune, dove veramente ce ne sarebbe bisogno.

Certo, gli andamenti dei mercati dovrebbero essere “a pioggia” benefici anche per l’economia reale, ma è un po’ come se rimaneste fermi in strada senza benzina alla vostra auto e voleste ripartire rovesciando una tanica di carburante da sopra il tettuccio. Qualche goccia entrerà pure nel serbatoio (sempre che sia aperto…), ma quanta strada riuscireste a percorrere?

Gli americani ricchi, o che almeno quelli che proprio male non stanno, cercheranno di accaparrarsi questo denaro comprando stocks (azioni), come fanno di solito in questi casi, ed in parte riusciranno a riempirsi le tasche con gli indici che probabilmente cresceranno ancora, ma quanti di costoro “investiranno” nel senso reale del termine e quanti di costoro invece semplicemente “speculeranno”?

Bah, per una volta, consoliamoci con le notizie che vengono dalla cara Vecchia Europa e godiamoci da spettatori interessati il teatrino delle primarie del PD, che in questi giorni entra nel vivo delle “cose di casa nostra”.

Energia

Cos’è l’energia?

L’energia è l’attitudine o la capacità di un corpo o di un sistema a compiere un lavoro.

Di cosa stiamo parlando. Potreste pensare che voglia tediarvi con un trattato di fisica invece, come al solito, parliamo di politica e di economia. Questa mattina ho avuto modo di sfogliare il magazine mensile del Sole24Ore, IL. Come al solito, una bellissima rivista impreziosita questo mese da uno slogan, un aforisma che si deve ad Alexander Hamilton (l’uomo che vedete nelle banconote da 10 dollari):

“L’energia dell’esecutivo rappresenta una caratteristica principale di buon governo. Un esecutivo debole implica un’azione di governo parimenti debole. E debole azione di governo non è altro che un nome per cattiva azione di governo”.

Non venite a dirmi che non pensate immediatamente all’Italia, al Governo italiano. Con buona pace di Monti, più passano i giorni e più quel salvifico governo tecnico che avrebbe dovuto liberare l’Italia da quel colossale nodo gordiano in cui è stretta da almeno un paio di decenni da una classe politica corrotta ed inetta, si rivela essere un governo d’impiegati, più che di professori, che mantengono lo status quo ante.

Se siamo stati noi a caricare di troppo peso un governo a tempo o se invece Monti, di fronte ad una situazione incancrenita, abbia perso la verve ed i buoni propositi dei primi giorni, sarà la storia a dircelo. Se i governi tecnici siano in sé il sintomo della malattia della democrazia italiana incapace da sempre di evolversi e bisognosa di badanti esterne per mantenere se stessa nei momenti difficili, saranno i posteri a dircelo. Vero è, però, che ad un’azione di governo (tecnico o politico che sia) debole corrisponde una cattiva ed inefficace azione di governo che porta ad una costante e pervasiva sfiducia e si spengono quegli “spiriti animali” tanto cari agli economisti.

Eccoci al titolo dunque. L’energia. Come poterla sprigionare, come poter tornare a mostrare il lato migliore di noi, come poter ritrovare la coesione, la voglia di vivere, l’orgoglio di un paese ferito. Questo è il problema.

Nei momenti più difficili, quando si tocca il fondo, volenti o nolenti, si DEVE ripartire. E per questo l’esempio deve venire dall’alto. La parola che deve farci guardare avanti non è crescita, ma fiducia. Sveglia Monti, sveglia! La fiducia è l’energia, non si ha crescita se si spegne il morale del popolo. Vogliamo credere in una possibilità di uscita, vogliamo vedere una luce in fondo al tunnel, o almeno vogliamo credere che ci possa essere una luce in fondo al tunnel.

Gli italiani chi con il voto, chi con l’astensione, hanno da tempo iniziato a mandare chiari segnali a Monti, al Governo tutto e soprattutto ai propri policymakers. E’ ora che qualcuno inizi ad ascoltarli.

Vogliamo chiudere con la Seconda (e la Prima) Repubblica. Vogliamo chiudere con quel concetto di politica che non è bene comune e libertà dell’individuo, ma rendita di posizione e fame di potere, vogliamo chiudere con i professionisti della politica come li abbiamo conosciuti in questi ultimi decenni in cui la parola politica è stata sinonimo di combine, malaffare ed in generale affarismo.

Non vogliamo che la tensione sociale sfoci in atti autolesionistici ed autodistruttivi, eppure i semi della distruzione sono già sotto gli occhi di tutti. C’è bisogno di energia, c’è bisogno di sudore e fatica, anzi, siamo arrivati al punto in cui vogliamo sudore e fatica che, oggi, non ci sono più (in mancanza di lavoro).

Le circostanze certo non ci aiutano, ma non possiamo sempre scegliere il campo in cui giocare e la squadra da sfidare. Credo che abbiamo le carte in regola per vincere la partita, ma se l’allenatore in primis dà segni di cedimento, allora… Che sia il caso di esonerarlo?

Lavoro lavoro lavoro

Fior di politici si riempiono la bocca di parole vuote.
Fior di economisti forniscono ricette.
Fior di sindacalisti si battono…
Nonostante tutto un gran numero di noi non lavora.
Il lavoro checché se ne dica è IL vero problema che emerge da questa infinita crisi nell’EZ ed in particolare nei paesi periferici di essa, quali la nostra Italia e gli altri PIGS.

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La crisi finanziaria, o meglio l’ossessione per il debito, il disavanzo e lo spread, ci ha forzato a fraintendere il vero problema. Chiuso, almeno per ora, il buco nero greco, e ristabilita una distanza un po’ più fair tra il rendimento dei nostri titoli di stato ed il riferimento tedesco, dovremmo concentrarci SOLO su come rilanciare un paese ed un continente che ormai produce molto meno di quello che importa e che mantiene privilegi salariali in alcune categorie e fasce di età che ormai non sono più compatibili con l’attuale economia reale, economia con cui ciascuno di noi si confronta ogni giorno. Mi riferisco da un lato al fabbisogno dello stato, con particolare attenzione al monte salariale dei dirigenti e dei tanti troppi eletti della nostra vetusta res publica e dall’altro all’ormai incolmabile gap che è venuto a crearsi tra i nuovi ingressi nel mondo del lavoro e coloro che ormai sono prossimi alla pensione.
Al di là del sacrosanto tentativo di rinnovare il mercato del lavoro italiano secondo formule più concrete e moderne, sono questi secondo me i veri problemi, e, contestualmente, le vere sacche di resistenza che impediscono a questo stato di fare quel salto di qualità che potrebbe renderci davvero competitivi in Europa e nel mondo.
Con buona pace delle parti sociali e dei nostri policy makers il rilancio del mondo del lavoro, come di molti altri ambiti della nostra vita sociale e politica, non può che partire dalla constatazione di uno stato di fatto che deve indurci a prendere decisioni non semplici, ma necessarie. Lo stato di fatto è tanto crudo quanto semplice: QUESTO modello di sviluppo ci porterà inevitabilmente al declino. Il tessuto produttivo italiano di questo passo non sopravviverà. La soluzione, attenzione, è sicuramente la crescita, ma questa da sola non basterà se non scendiamo a compromessi e non pensiamo ad una sana redistribuzione dei redditi.
La revisione dell’articolo 18, importante e da rivedere per carità, non è che un falso problema se guardiamo alla situazione vera del nostro paese. Un falso problema sia dal punto di vista sindacale che da quello imprenditoriale perché ormai è cosa nota che la stragrande maggioranza dei licenziamenti in Italia non è regolata da tale articolo in quanto hanno a che fare con motivazioni esclusivamente economiche. I problemi veri sono disoccupazione giovanile e produttività di coloro che già sono inseriti nel sistema e tali problemi sono inevitabilmente correlati: in Italia non si assume perché si produce poco, male e ad un costo orario incredibilmente alto.
Se tutti dobbiamo essere disposti a sacrifici, dobbiamo pensare che coloro che non sono produttivi, se non possono essere tagliati, devono subire almeno un taglio di stipendio che permetta di liberare risorse per far entrare nuove e più motivate figure nel mondo del lavoro, quei giovani che oggi sono a casa senza alcuna speranza per il futuro.
In Italia, checché se ne dica, esiste un problema generazionale, c’è uno scontro tra giovani e anziani, anzi, peggio, è in atto uno scontro tra gli under 35 e gli over 50, i primi ormai demotivati e senza speranza, i secondi che hanno avuto una retribuzione negli anni superiore alla loro reale capacità produttiva, in altri termini, hanno vissuto oltre le loro possibilità e, guarda caso, hanno permesso ai loro figli, quelli che ora “non sanno dove battere la testa”, di vivere sopra le righe e di preoccuparsi poco per il proprio futuro convinti che, in un modo o nell’altro, avrebbero potuto trovare un lavoro buono e ben pagato, indipendentemente dagli studi e dall’impegno profuso.
Insomma, cari genitori, dovete lasciare spazio ai figli. Questo non significa che dobbiate essere rottamati (anche perché per tutti l’età pensionabile è ormai un miraggio), quanto piuttosto che rinunciate ad una fetta del vostro stipendio, se volete davvero che noi, i vostri figli, non restiamo “bamboccioni” per sempre e possiamo permettere ai nostri figli di avere tutto quanto di bello avete dato a noi!

P.S. Un ringraziamento speciale all’autore della vignetta…. Grazie Ale! zeepoo.blogspot.com

Riflessioni di un progressista sconsolato 2

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Un’altra settimana si è appena conclusa. Un’altra settimana di declino per la politica italiana, in particolare per i due maggiori partiti, PdL e PD.
Prima di analizzare i casi specifici, credo sia doveroso chiederci perché i partiti che rappresentano da soli 2/3 dell’establishment politico italiano attraversino una fase di così profonda crisi. Al di là dei casi specifici, infatti, è ormai chiaro che in Italia il tanto agognato bipolarismo sia sull’orlo dell’implosione a causa di due poli che, ciascuno a modo suo, non risultano essere così “magnetici” come ci saremmo aspettati. È un fatto che i progetti politici sviluppatisi in questo ultimo decennio siano da considerarsi quantomeno rivedibili.
A differenza di quanto si pensava, in questi anni PdL e PD non sono stati i player principali della partita, o meglio, lo sono stati in termini di numeri di voti e dimensionamento, ma si è avuta l’impressione che non fossero mai state le vere “guide” del dibattito politico quanto piuttosto si muovessero come banderuole, sbattute a destra, a sinistra e al centro nei vari fronti di discussione che di volta in volta sono stati aperti. In un certo senso, a fronte di un PdL strattonato più volte dalla Lega e da quello che è divenuto il Terzo Polo (non nomino neppure i “Responsabili” che secondo il mio parere non sarebbero neanche degni di entrare come visitatori nei palazzi della politica!), il PD si è visto tirare per la giacchetta da Di Pietro, Grillo e SEL, quest’ultimo in grado addirittura di vincere un paio di primarie pesanti in città fondamentali come Milano e Genova così da creare notevoli grattacapi alla dirigenza democratica.
Ma perché tutto questo è avvenuto? Troppo facile sarebbe cercare LA colpa nella “pochezza” della classe politica italiana (che comunque è un motivo da non sottovalutare), credo piuttosto si debba prendere seriamente in considerazione l’idea che la colpa sia da ascrivere principalmente al solito Silvio Berlusconi, o meglio al declino di Silvio Berlusconi. Perché? È presto detto. Nel centro-destra, e ancor di più nel PdL, egli ha rappresentato e probabilmente ancora rappresenta l’unico motivo di unità mentre, dall’altro lato dello schieramento, il suo progressivo indebolimento ha fatto credere che fosse giunto il momento della spallata e che fosse necessaria un’accelerazione nella costruzione di uno pseudo-partito di governo piuttosto che un partito assodato fatto di idee, di strutture e militanti.
Di tutto ciò ne sia riprova il fatto che con il progressivo eclissarsi del Nano italico è sparita anche la politica italiana. A differenza di quanto ci saremmo aspettati, invece di vedere un rinnovato impegno ed una nuova fase di discussione, si è assistito alla nascita di un governo di (quasi) unità nazionale che ha catalizzato l’attenzione dei media quasi più di quanto non fosse successo con i primi governi Berlusconi. Di certo il contesto economico generale ha spinto affinché una situazione del genere potesse venirsi a creare, di certo la “forzatura” sacrosanta di Napolitano verso un governo tecnico ha contribuito, ma avreste mai creduto che dopo 3 mesi di Governo Monti non avremmo avuto idea di cosa aspettarci dalla politica italiana del prossimo futuro? E avreste mai pensato che la “dipartita” di Silvio da Palazzo Chigi avrebbe avuto un effetto tanto deflagrante in tutto lo schieramento politico? Io no, sinceramente.
Veniamo infine ai fatti di questi ultimi giorni.
Il PdL, non me ne voglia il buon Angelino, è una nave senza capitano. La storia delle tessere false con il coordinatore (Verdini) che arriva a chiedere l’intervento della Magistratura, sa molto di resa dei conti, di preparazione alla battaglia con colonnelli che rinserrano le proprie truppe, stringono alleanze e scavano trincee e, purtroppo, sa molto di Tangentopoli e di degenerazione della politica, e non dico niente più.
Il PD, da parte sua, ha i suoi buoni grattacapi. L’apertura del dibattito sulla riforma del mercato del lavoro e per estensione sull’operato del governo Monti, ha riaperto ferite mai sanate. Si sono svegliati i filo-CGIL da una parte, i “moderati” dall’altra e, come al solito, Veltroni ha colto l’occasione per girare il coltello nella piaga. Proprio quel Veltroni, di cui non faccio mistero in passato abbia nutrito più di una semplice ammirazione, mi ha lasciato basito e rappresenta un’altra prova provata di quanto la politica italiana non riesca a dire niente di nuovo e resti arroccata nel suo sempre più vetusto castello. Veltroni con le sue interviste, che sono entrate a gamba tesa nei confronti del suo stesso partito, sembra ormai un giovane nel corpo di una cariatide, e dimostra quanto la politica italiana sia incapace di svecchiarsi e spinga gli elettori (e per estensione il popolo) verso l’abisso dell’antipolitica. S’intenda, non è che Fassina e tutti quelli che stanno dall’altra parte, si comportino molto meglio, sia chiaro. Essi contribuiscono in modo sostanziale alla riproposizione dell’eterno ritorno dell’eguale!
Come e se usciremo sulle nostre gambe da un momento così triste non è chiaro, ma credo ogni giorno di più nella necessità impellente per entrambi i poli di voltar davvero pagina, di chiudere questa fase storica per aprirne una davvero nuova, una Terza Repubblica che sicuramente non potrà essere peggiore della Seconda.

Riflessioni di un progressista sconsolato

Eccoci ad un altro fine settimana. Il settimo dall’inizio del 2012, eppure tutto quel che è accaduto in questa settimana, o quasi, sembra essere uguale a quanto visto la settimana precedente, a quanto accaduto in quella ancora prima e ancora e ancora e ancora…

Non discuto e non smentisco quanto scritto nel precedente post, qualche germoglio di primavera, qua e là, inizia a spuntare davvero a spuntare, ma da qui a dire che questi germogli possano preannuciare una nuova e bella stagione ne deve passare di acqua sotto i ponti.

Mi riferisco in particolare alla situazione politica italiana e, per estensione, a quanto si vede in Europa. A fronte di un governo italiano quanto mai attivo (nel bene e nel male, s’intende) si è assistito ad una recrudescenza del conservatorismo che rappresenta ai miei occhi il male assoluto dei nostri tempi.

Abbiamo un Presidente del Consiglio che ben prima dei fatidici 100 giorni può senza dubbio dire di aver fatto qualcosa per questo paese, ma come controaltare abbiamo una classe politica che ha rispolverato i cannoni della Restaurazione. Basti guardare alla questione dell’articolo 18, ai 2ooo e passa emendamenti al Decreto Cresci Italia, ai soldi del finanziamento pubblico ai partiti che finiscono nelle tasche di soggetti spregevoli, all’incapacità di trovare una seppur minima sintesi nel dibattito sulla revisione della legge elettorale, ai tagli mancanti dei vitalizi e degli enti inutili e chi più ne ha più ne metta.

In Europa non stiamo certo meglio. La situazione greca è tutt’altro che disinnescata, il Portogallo vacilla, la Spagna lo segue, la Germania non riesce ad essere locomotiva di cambiamento, la Gran Bretagna va per la sua strada e la Francia è incartata nella successione (forse) di quel politichetto (per statura e levatura intellettuale) che è Sarkò, l’Ungheria è già nel baratro e, ancora, chi più ne ha più ne metta.

Come potete vedere, dunque, avremmo molto di cui discutere e sinceramente non so neppure da che parte cominciare, ma se mi permettete vorrei dire due parole sulla spinosa questione relativa alla riforma del mercato del lavoro italiano. Fermo restando un giudizio di disprezzo nei confronti delle sparate di certi membri del governo con Monti in testa, la questione deve essere affrontata con coraggio e senso del fare, pura e semplice prassi. L’Italia ha un problema di lavoro, produttività e di disoccupazione giovanile e questo è sotto gli occhi di tutti. Bene, è giunta l’ora di discutere e di agire veramente.

Parliamo dall’articolo 18. Visto che ormai sembra essere il caposaldo della discussione da qualsiasi parte si guardi la questione. Proverò a dare un’interpretazione discutibile, ma quanto mai basata sui fatti. Non è vero, come sostengono i sindacati (compreso quello a cui sono ancora iscritto) che sia un falso problema. Una revisione di questo diritto è sacrosanta. Non possiamo nasconderci dietro ad un dito. Il mondo del lavoro italiano è ingessato. Non si assume. Certo, non si assume SOLO perché in Italia esiste l’articolo 18, ma ANCHE per questo motivo. Perché dunque non provare a ripensarlo e ridiscuterlo mettendo sul piatto qualche concessione ai datori di lavoro A PATTO CHE essi s’impegnino ad assumere? Proviamo a chiedere ad un disoccupato se preferisce lavorare con qualche garanzia in meno o stare a casa. Certo, si può controbattere dicendo che il problema dell’Italia è la MANCANZA di lavoro e l’inefficienza del sistema. Vero, verissimo. Parliamo anche di questo allora. Parliamo a tutto tondo di come rilanciare un sistema produttivo che sembra un malato terminale. Ovvio che dovremo parlare di pagamenti nei tempi e nei modi giusti, di snellimento ed efficienza della PA, di tassi sui prestiti alle imprese e di incentivi all’investimento, ma se coloro che hanno davvero soldi da investire (italiani o stranieri che siano) non lo fanno dichiarando espressamente che uno dei motivi è legato all’articolo 18 perché laicamente non c’impegnamo a rivederlo? Non capisco i tabù come non capisco il conservatorismo. Se i tempi cambiano e qualche diritto si perde a causa di scelte ed errori che comunque sono già stati commessi perché non vogliamo prendere atto della situazione, mettere un punto ed andare a capo? Insomma, anch’io non credo che il problema sia solo l’articolo 18 bensì il peccato originale sia piuttosto ascrivibile alla variegata pletora di ridicole forme di lavoro a tempo determinato ed indeterminato che rendono i lavoratori più precari di quanto non lo sarebbero in un mondo in cui l’articolo 18 non esistesse neppure e ci fossero – che so – 10 forme contrattuali in tutto.

La flessibilità è una cosa bella in teoria, ma in pratica, in Italia, non lo è, con buona pace di Monti. Ben vengano dunque proposte di revisione dei contratti di lavoro che facilitino le assunzioni a tempo indeterminato magari con forme di protezione del posto più “blande” dell’articolo 18 così come oggi lo conosciamo.

Quando si cambia, come dice il proverbio è certo quel che si perde, ma è assolutamente incerto quel che si troverà. Questo è pacifico e sacrosanto, ma in un’Italia come questa, sarei pronto a perdere buona parte di quel che vedo intorno a me pur di provare a cambiare seriamente qualcosa, pur con tutti i rischi connessi con “ignoto”!

Per il cambiamento serve coraggio, e perché no un pizzico di sano cinismo, ma quando – come di questi tempi – ci rendiamo conto che mantenere lo status quo ci condurrà certamente al declino, credo dovremmo farci forza, mettere da parte la paura e fare il fatidico passo in avanti.

La dinamica dei rendimenti

Parliamo di btp e di bund.

Argomento trito e ritrito per carità, ma l’andamento dei tassi dei titoli di stato decennali dei vari paesi europei registrati nell’ultimo mese sono da analizzare. Partiamo dai dati di fatto, guardiamo ai btp da una parte ed ai bund dall’altra. Ecco, i titoli teutonici mostrano un rendimento effettivo che non ripaga neppure l’inflazione prevista nei 10 anni, come a dire che gli investitori riflettono ancora un timore di fondo che li porta al flight to quality, ad una corsa alla qualità che dimostra come si sia disposti a pagare una “tassa sulla sicurezza” (definizione che devo a Onado de lavoce.info) piuttosto che avere un qualche rendimento di lungo periodo. D’altra parte, il ripiegamento dei rendimenti dei btp italiani, che a differenza del grafico sopra pare ormai stabilmente sotto al 6%, rivela come con molta probabilità la crescita smisurata nei tassi degli ultimi mesi fosse dovuta solo ad una forte speculazione da parte dei mercati che avevano visto nel nostro paese la catena debole del potere politico prima ed economico poi dell’EZ.

Ora, al solito, non è tutto oro quel che luccica, anzi, mi pare che ci sia parecchio ottone a giro. Ma in che senso? L’impressione degli analisti è che il rischio connesso ai bund sia sottopesato, mentre sia ancora sopravvalutato quello italiano. Ciò però non significa che la situazione italiana sia stabilizzata e nel lungo periodo, ma neppure che gli eccellenti dati macro tedeschi possano essere garanzia contro ogni possibile sconvolgimento futuro.

La cautela è dunque d’obbligo, ma si comincia a sentire più di una voce dire che uno spread attorno ai 400 punti sia ancora troppo grande e sarà destinato a ridursi, tutto però starà nel vedere se si ridurrà perché caleranno i rendimenti dei btp (e dunque per meriti italiani) o perché saliranno quelli dei bund (e dunque per demeriti tedeschi). L’impressione è che un fair spread per il 2012 possa essere attorno ai 300 punti, con rendimenti dei titoli di stato italiani al 5% e tedeschi al 2%, ciò renderebbe meno oneroso il servizio del debito italiano e allineerebbe il costo del rischio connesso alla AAA tedesca (in terra Europea…) più ragionevole.

Chi vivrà, vedrà… Se non altro speriamo che questo burian che in questi giorni sferza le terre dello stivale porti via con sé qualche altro punticino di quel vituperato spread che ormai è la parola più (ab)usata di questi ultimi mesi!

Un motivo in più per stare con Monti

Oggi sul Financial Times è uscito un articolo il cui titolo mi ha incuriosito: “Europe rests on Monti’s shoulders”.

Ho iniziato a leggerlo e, una volta tanto, si è risvegliato in me l’orgoglio di avere, dopo molto tempo, un Presidente del Consiglio credibile al punto da portare una vera ventata di ottimismo fin nella City dove, com’è noto, non siamo mai stati molto amati e rispettati.

Come è già successo, vi tradurrò le parole contenute nell’articolo di Philip Stephens, certo di dare uno spunto di riflessione anche a voi.

Magari, dopo aver letto l’articolo, potrete come me ingoiare l’amara medicina storcendo un po’ meno il naso.

L’Europa sta in piedi sulle spalle di Monti

L’Italia è tornata. Angela Merkel sta in testa alla classifica del potere in Europa. Il francese Nicolas Sarkozy può vantarsi di essere il leader più energetico del continente. Mario Monti è il più interessante. Dopo un’assenza durata un paio di decadi, l’Italia è ritornata sul palco. Il destino di Monti potrebbe essere il destino dell’intera Europa. Qualche giorno fa la Casa Bianca ha affermato che Monti a breve incontrerà Obama e descrivere questo annuncio come caloroso è quanto meno eufemistico. Monti ed il presidente americano discuteranno “dei provvedimenti generali che il governo italiano sta approntando per ristabilire la fiducia dei mercati e rinvigorire la crescita attraverso riforme strutturali, nell’ottica di un’espansione della difesa finanziaria dell’EZ”. Traducete e leggerete tra le righe che “il presidente Obama sta dietro a Monti in tutti i sensi, anche quando questi mette pressione alla signora Merkel”.

C’è stato un tempo in cui l’Italia aveva qualcosa da dire in Europa. Gli Italiani sono stati campioni nel grande sforzo di integrazione degli anni Ottanta. Il summit di Milano del 1985 fornì la spinta verso il mercato unico. Cinque anni dopo in un meeting a Roma si approntò la tabella di marcia per l’entrata in vigore dell’Euro. Questo fornì le condizioni per la caduta di Margaret Thatcher: il suo “No, No, No” alla moneta unica portò allo scontro nei Tories. Per quanto possa apparire strano, un tempo i Conservatori inglesi erano per la maggior parte europeisti.

L’era di Silvio Berlusconi ha messo fine all’influenza italiana. Sebbene egli avesse sempre ricevutoo un caloroso benvenuto da Vladimir Putin, i principali leader europei lo hanno sempre evitato in quanto era visto come fonte d’irritazione ed imbarazzo. Monti, un accademico serio con un piano altrettanto serio, è differente secondo tutti i punti di vista. Berlusconi faceva rozze battute sulla signora Merkel, Monti parla con lei di questioni economiche.

C’è un altro italiano, poi, al tavolo principale. Mario Draghi – l’altro Mario – ha fatto suoi i titoli delle principali testate nella sua ancora breve presidenza della BCE. Per quanto voglia l’ortodossia economica, egli ha presentato se stesso come un vero tedesco. Sebbene la sua direzione abbia lanciato una grande operazione di rifinanziamento, una sorta di quantitative easing, egli è riuscito a scaldare il sistema bancario ed ha portato una relativa calma sulle piazze finanziarie. L’argine della BCE non sarà permanente, ma ha creato spazio per i politici per negoziare il prezioso accordo fiscale caldeggiato dalla signora Merkel.

Per quanto ci siano ancora grosse nubi sulla Grecia, ci sono segnali che la crisi dell’Euro sia passata almeno dalla fase acuta a quella cronica. La questione è tutta sulle spalle di Monti dato che le prospettive di lungo termine dell’Euro si decidono proprio in Italia. Se la Grecia dovesse cadere sul lato della carreggiata, Spagna, Portogallo ed Irlanda si troverebbero proprio sulla linea di fuoco, ma sarà l’Italia il vero snodo della questione. Se la terza più grande economia dell’EZ non riuscirà a tracciare un percorso economico credibile, l’Euro inteso come progetto pan-europeo non avrà un futuro.

Monti ha una coppia di assi nella manica. Le misure di austerità si stanno già rivelando impopolari, ma i politici italiani eletti non mostrano di essere in gran forma. Berlusconi spara dalle retrovie, ma la sua coalizione di centro destra sarebbe distrutta d’un colpo in un’elezione a breve termine. Monti può quindi pensare di avere un altro anno a disposizione, fino alle elezione della primavera del 2013, per approntare la sua strategia e farla correre. La seconda carta che Monti può giocarsi è di poter parlare francamente al potere politico tedesco. Il suo curriculum di riformatore liberale, affermatosi nel corso degli anni alla Commisione Europea, è indiscutibile. La sua condotta mette in discussione lo stereotipo dell’uomo del sud-Europa come inconcludente e pigro. E Obama lo appoggia quando Monti afferma alla signora Merkel che il rigore indefinito potrebbe trasformare il patto fiscale in un vero e proprio suicidio.

Sospetto al contrario che Sarkozy soffra l’intrusione di Monti. Il presidente francese non è uno da condividere le luci della ribalta. Finora Parigi si è avocata la leadership nel patto franco-tedesco, ma, in realtà, la chimica tra il presidente francese ed il cancelliere tedesco è tutt’altro che buona. Come spesso succede, adesso Sarkozy ha più interesse per il successo di Monti più che del suo. Sebbene abbia incontrato le élite francesi al recente colloquio anglo-francese, non credo molto nella loro insistenza nella sopravvivenza dell’Euro come di un fatto essenziale. Quello che intendono, penso, è che un’eventuale rottura della moneta unica vedrebbe la Francia costretta nell’Europa di serie B così da privarla di ogni rimanente velleità sul piano dell’influenza globale.

Non ci sono garanzie che Monti abbia successo. Grandi tagli alla spesa e l’incremento nella tassazione sono una cosa, ma la vera sfida è rappresentata dalla liberalizzazione dell’economia. Su questo piano egli deve confrontarsi con un coacervo di attività che chiudono (o chiuderanno), pratiche restrittive e cartelli “affittasi”. Questa settimana le città italiane sono state gettate nel caos dallo sciopero dei tassisti e dei camionisti. Avvocati, farmacisti e distributori di benzina affilano le armi contro il piano che prevede di cancellare i loro privilegi. Non sarà facile. Queste scelte sono inevitabili. Il dibattito sul futuro dell’EZ èdisperatamente polarizzato. Da un lato stanno coloro che credono che l’impresa potrà aver successo soltanto se il cattolico sud-Europa assorbirà la cultura protestante del nord fatta di parsimonia e duro lavoro. Dall’altra stanno coloro che credono che l’unica via verso il successo sia convincere i tedeschi a spendere ed indebitarsi di più sottoscrivendo i debiti dei loro vicini del sud. Entrambi i ragionamenti, purtroppo, sono però completamente ingenui. La sfida che affronta l’Europa cristallizzata dalla crisi dell’Euro è di adattarsi in un mondo in cui il Vecchio Continente non è più in grado di dettare i rapporti commerciali.

Politici ed economisti possono argomentare tutto quello che vogliono riguardo ai meriti e demeriti della svalutazione e affinamento del bilanciamento tra rettitudine fiscale e supporto della domanda, ma l’unica vera questione è se l’Europa possa davvero competere in un mondo in cui l’Occidente non avrà più la grande influenza del passato ed è proprio in quest’ottica che quello che sta facendo Monti in Italia conta davvero.