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Lavoro lavoro lavoro

Fior di politici si riempiono la bocca di parole vuote.
Fior di economisti forniscono ricette.
Fior di sindacalisti si battono…
Nonostante tutto un gran numero di noi non lavora.
Il lavoro checché se ne dica è IL vero problema che emerge da questa infinita crisi nell’EZ ed in particolare nei paesi periferici di essa, quali la nostra Italia e gli altri PIGS.

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La crisi finanziaria, o meglio l’ossessione per il debito, il disavanzo e lo spread, ci ha forzato a fraintendere il vero problema. Chiuso, almeno per ora, il buco nero greco, e ristabilita una distanza un po’ più fair tra il rendimento dei nostri titoli di stato ed il riferimento tedesco, dovremmo concentrarci SOLO su come rilanciare un paese ed un continente che ormai produce molto meno di quello che importa e che mantiene privilegi salariali in alcune categorie e fasce di età che ormai non sono più compatibili con l’attuale economia reale, economia con cui ciascuno di noi si confronta ogni giorno. Mi riferisco da un lato al fabbisogno dello stato, con particolare attenzione al monte salariale dei dirigenti e dei tanti troppi eletti della nostra vetusta res publica e dall’altro all’ormai incolmabile gap che è venuto a crearsi tra i nuovi ingressi nel mondo del lavoro e coloro che ormai sono prossimi alla pensione.
Al di là del sacrosanto tentativo di rinnovare il mercato del lavoro italiano secondo formule più concrete e moderne, sono questi secondo me i veri problemi, e, contestualmente, le vere sacche di resistenza che impediscono a questo stato di fare quel salto di qualità che potrebbe renderci davvero competitivi in Europa e nel mondo.
Con buona pace delle parti sociali e dei nostri policy makers il rilancio del mondo del lavoro, come di molti altri ambiti della nostra vita sociale e politica, non può che partire dalla constatazione di uno stato di fatto che deve indurci a prendere decisioni non semplici, ma necessarie. Lo stato di fatto è tanto crudo quanto semplice: QUESTO modello di sviluppo ci porterà inevitabilmente al declino. Il tessuto produttivo italiano di questo passo non sopravviverà. La soluzione, attenzione, è sicuramente la crescita, ma questa da sola non basterà se non scendiamo a compromessi e non pensiamo ad una sana redistribuzione dei redditi.
La revisione dell’articolo 18, importante e da rivedere per carità, non è che un falso problema se guardiamo alla situazione vera del nostro paese. Un falso problema sia dal punto di vista sindacale che da quello imprenditoriale perché ormai è cosa nota che la stragrande maggioranza dei licenziamenti in Italia non è regolata da tale articolo in quanto hanno a che fare con motivazioni esclusivamente economiche. I problemi veri sono disoccupazione giovanile e produttività di coloro che già sono inseriti nel sistema e tali problemi sono inevitabilmente correlati: in Italia non si assume perché si produce poco, male e ad un costo orario incredibilmente alto.
Se tutti dobbiamo essere disposti a sacrifici, dobbiamo pensare che coloro che non sono produttivi, se non possono essere tagliati, devono subire almeno un taglio di stipendio che permetta di liberare risorse per far entrare nuove e più motivate figure nel mondo del lavoro, quei giovani che oggi sono a casa senza alcuna speranza per il futuro.
In Italia, checché se ne dica, esiste un problema generazionale, c’è uno scontro tra giovani e anziani, anzi, peggio, è in atto uno scontro tra gli under 35 e gli over 50, i primi ormai demotivati e senza speranza, i secondi che hanno avuto una retribuzione negli anni superiore alla loro reale capacità produttiva, in altri termini, hanno vissuto oltre le loro possibilità e, guarda caso, hanno permesso ai loro figli, quelli che ora “non sanno dove battere la testa”, di vivere sopra le righe e di preoccuparsi poco per il proprio futuro convinti che, in un modo o nell’altro, avrebbero potuto trovare un lavoro buono e ben pagato, indipendentemente dagli studi e dall’impegno profuso.
Insomma, cari genitori, dovete lasciare spazio ai figli. Questo non significa che dobbiate essere rottamati (anche perché per tutti l’età pensionabile è ormai un miraggio), quanto piuttosto che rinunciate ad una fetta del vostro stipendio, se volete davvero che noi, i vostri figli, non restiamo “bamboccioni” per sempre e possiamo permettere ai nostri figli di avere tutto quanto di bello avete dato a noi!

P.S. Un ringraziamento speciale all’autore della vignetta…. Grazie Ale! zeepoo.blogspot.com

Grecia. Default.

Per la quinta volta in 200 anni la Grecia è andata in default.

La International, Swaps & Derivative association (Isda) guidata da Dallara, ha dato il via libera alla liquidazione dei cds, a seguito delle clausole di applicazione collettiva (CAC) che hanno “imposto” la ristrutturazione del debito per i creditori privati recalcitranti.

Dunque, non avendo assistito ad una (completa) ristrutturazione volontaria, si assiste ad una ristrutturazione forzosa, un vero e proprio default, per quanto ordinato.

Insomma, dopo aver versato fiumi d’inchiostro ed averne sentite di cotte e di crude, volenti o nolenti, siamo arrivati alla constatazione di uno stato di fatto: la Grecia non era e non è in grado di onorare tutti i suoi debiti per cui, comunque la giriamo, è fallita.

Le colpe sono senza dubbio molte. Ovvio, il peccato originale è dei vari governi greci e di un sistema paese ormai sull’orlo del baratro, ma dovremmo alzare lo sguardo e renderci conto che una buona dose di responsabilità dovrebbe essere ascritta ai politici e tecnici europei che, prima, non sono stati in grado di accorgersi che i conti dei greci non erano a posto al momento dell’ingresso nell’Euro e, dopo, non sono stati in grado di gestire in tempi ragionevoli una ristrutturazione che ormai era inevitabile. Ciò ha fatto sì che il problema greco, un problemuccio di una delle tante periferie d’Europa, diventasse il problema dell’EZ e trascinasse con sé quei paesi che avevano una mole corposa di debito resa instabile da un tasso di crescita stentato.

Personalmente, e non me ne vogliano coloro che hanno perso bei soldi in obbligazioni greche, prendo con sollievo la notizia. Almeno adesso abbiamo dimostrato al mondo che in Europa qualcosa si decide, nel bene e nel male. Pur ribadendo le mie perplessità sulle modalità con cui siamo giunti a questa decisione, pur non sentendomi – da semplice investitore privato – rappresentato da questo Isda, pur ribadendo che siamo di fronte all’ennesima dimostrazione di una debolezza politica ormai cronica, sono contento che ci siamo tolti questo dente.

Ora attenzione! Gli squali annusano il sangue del Portogallo… Vediamo di non cucinare un altro haggis in salsa british! Chi ha orecchi per intendere…  

Un motivo in più per stare con Monti

Oggi sul Financial Times è uscito un articolo il cui titolo mi ha incuriosito: “Europe rests on Monti’s shoulders”.

Ho iniziato a leggerlo e, una volta tanto, si è risvegliato in me l’orgoglio di avere, dopo molto tempo, un Presidente del Consiglio credibile al punto da portare una vera ventata di ottimismo fin nella City dove, com’è noto, non siamo mai stati molto amati e rispettati.

Come è già successo, vi tradurrò le parole contenute nell’articolo di Philip Stephens, certo di dare uno spunto di riflessione anche a voi.

Magari, dopo aver letto l’articolo, potrete come me ingoiare l’amara medicina storcendo un po’ meno il naso.

L’Europa sta in piedi sulle spalle di Monti

L’Italia è tornata. Angela Merkel sta in testa alla classifica del potere in Europa. Il francese Nicolas Sarkozy può vantarsi di essere il leader più energetico del continente. Mario Monti è il più interessante. Dopo un’assenza durata un paio di decadi, l’Italia è ritornata sul palco. Il destino di Monti potrebbe essere il destino dell’intera Europa. Qualche giorno fa la Casa Bianca ha affermato che Monti a breve incontrerà Obama e descrivere questo annuncio come caloroso è quanto meno eufemistico. Monti ed il presidente americano discuteranno “dei provvedimenti generali che il governo italiano sta approntando per ristabilire la fiducia dei mercati e rinvigorire la crescita attraverso riforme strutturali, nell’ottica di un’espansione della difesa finanziaria dell’EZ”. Traducete e leggerete tra le righe che “il presidente Obama sta dietro a Monti in tutti i sensi, anche quando questi mette pressione alla signora Merkel”.

C’è stato un tempo in cui l’Italia aveva qualcosa da dire in Europa. Gli Italiani sono stati campioni nel grande sforzo di integrazione degli anni Ottanta. Il summit di Milano del 1985 fornì la spinta verso il mercato unico. Cinque anni dopo in un meeting a Roma si approntò la tabella di marcia per l’entrata in vigore dell’Euro. Questo fornì le condizioni per la caduta di Margaret Thatcher: il suo “No, No, No” alla moneta unica portò allo scontro nei Tories. Per quanto possa apparire strano, un tempo i Conservatori inglesi erano per la maggior parte europeisti.

L’era di Silvio Berlusconi ha messo fine all’influenza italiana. Sebbene egli avesse sempre ricevutoo un caloroso benvenuto da Vladimir Putin, i principali leader europei lo hanno sempre evitato in quanto era visto come fonte d’irritazione ed imbarazzo. Monti, un accademico serio con un piano altrettanto serio, è differente secondo tutti i punti di vista. Berlusconi faceva rozze battute sulla signora Merkel, Monti parla con lei di questioni economiche.

C’è un altro italiano, poi, al tavolo principale. Mario Draghi – l’altro Mario – ha fatto suoi i titoli delle principali testate nella sua ancora breve presidenza della BCE. Per quanto voglia l’ortodossia economica, egli ha presentato se stesso come un vero tedesco. Sebbene la sua direzione abbia lanciato una grande operazione di rifinanziamento, una sorta di quantitative easing, egli è riuscito a scaldare il sistema bancario ed ha portato una relativa calma sulle piazze finanziarie. L’argine della BCE non sarà permanente, ma ha creato spazio per i politici per negoziare il prezioso accordo fiscale caldeggiato dalla signora Merkel.

Per quanto ci siano ancora grosse nubi sulla Grecia, ci sono segnali che la crisi dell’Euro sia passata almeno dalla fase acuta a quella cronica. La questione è tutta sulle spalle di Monti dato che le prospettive di lungo termine dell’Euro si decidono proprio in Italia. Se la Grecia dovesse cadere sul lato della carreggiata, Spagna, Portogallo ed Irlanda si troverebbero proprio sulla linea di fuoco, ma sarà l’Italia il vero snodo della questione. Se la terza più grande economia dell’EZ non riuscirà a tracciare un percorso economico credibile, l’Euro inteso come progetto pan-europeo non avrà un futuro.

Monti ha una coppia di assi nella manica. Le misure di austerità si stanno già rivelando impopolari, ma i politici italiani eletti non mostrano di essere in gran forma. Berlusconi spara dalle retrovie, ma la sua coalizione di centro destra sarebbe distrutta d’un colpo in un’elezione a breve termine. Monti può quindi pensare di avere un altro anno a disposizione, fino alle elezione della primavera del 2013, per approntare la sua strategia e farla correre. La seconda carta che Monti può giocarsi è di poter parlare francamente al potere politico tedesco. Il suo curriculum di riformatore liberale, affermatosi nel corso degli anni alla Commisione Europea, è indiscutibile. La sua condotta mette in discussione lo stereotipo dell’uomo del sud-Europa come inconcludente e pigro. E Obama lo appoggia quando Monti afferma alla signora Merkel che il rigore indefinito potrebbe trasformare il patto fiscale in un vero e proprio suicidio.

Sospetto al contrario che Sarkozy soffra l’intrusione di Monti. Il presidente francese non è uno da condividere le luci della ribalta. Finora Parigi si è avocata la leadership nel patto franco-tedesco, ma, in realtà, la chimica tra il presidente francese ed il cancelliere tedesco è tutt’altro che buona. Come spesso succede, adesso Sarkozy ha più interesse per il successo di Monti più che del suo. Sebbene abbia incontrato le élite francesi al recente colloquio anglo-francese, non credo molto nella loro insistenza nella sopravvivenza dell’Euro come di un fatto essenziale. Quello che intendono, penso, è che un’eventuale rottura della moneta unica vedrebbe la Francia costretta nell’Europa di serie B così da privarla di ogni rimanente velleità sul piano dell’influenza globale.

Non ci sono garanzie che Monti abbia successo. Grandi tagli alla spesa e l’incremento nella tassazione sono una cosa, ma la vera sfida è rappresentata dalla liberalizzazione dell’economia. Su questo piano egli deve confrontarsi con un coacervo di attività che chiudono (o chiuderanno), pratiche restrittive e cartelli “affittasi”. Questa settimana le città italiane sono state gettate nel caos dallo sciopero dei tassisti e dei camionisti. Avvocati, farmacisti e distributori di benzina affilano le armi contro il piano che prevede di cancellare i loro privilegi. Non sarà facile. Queste scelte sono inevitabili. Il dibattito sul futuro dell’EZ èdisperatamente polarizzato. Da un lato stanno coloro che credono che l’impresa potrà aver successo soltanto se il cattolico sud-Europa assorbirà la cultura protestante del nord fatta di parsimonia e duro lavoro. Dall’altra stanno coloro che credono che l’unica via verso il successo sia convincere i tedeschi a spendere ed indebitarsi di più sottoscrivendo i debiti dei loro vicini del sud. Entrambi i ragionamenti, purtroppo, sono però completamente ingenui. La sfida che affronta l’Europa cristallizzata dalla crisi dell’Euro è di adattarsi in un mondo in cui il Vecchio Continente non è più in grado di dettare i rapporti commerciali.

Politici ed economisti possono argomentare tutto quello che vogliono riguardo ai meriti e demeriti della svalutazione e affinamento del bilanciamento tra rettitudine fiscale e supporto della domanda, ma l’unica vera questione è se l’Europa possa davvero competere in un mondo in cui l’Occidente non avrà più la grande influenza del passato ed è proprio in quest’ottica che quello che sta facendo Monti in Italia conta davvero.

Emergenza democratica

La crisi greca prima e l’incendio italiano oggi (com’è stato definito dall’Economist nello splendido editoriale dal quale è stata tratta l’immagine qui sopra) ha messo a nudo i limiti della democrazia continentale. Sia chiaro, non siamo di fronte a rischi di autoritarismo, o di ritorno ad un qualche tipo di regime, bensì siamo di fronte ad una stagione realmente nuova nei rapporti tra il cittadino – l’elettore – e la rappresentanza politica – gli eletti.

Quanto abbiamo visto nelle ultime settimane con le dimissioni di Papandreou prima e di Berlusconi ha reso esplicita una cesura netta, che finora avevamo potuto solo intuire nei casi di Irlanda e Portogallo, tra la rappresentanza politica ed il popolo elettore.

Ciò che è avvenuto, che è diretta conseguenza di una chiara debolezza politica ed ancor di più economica di questi paesi (sovrani), è la caduta di governi non per sfiducia nelle sedi parlamentari, non per sommovimenti popolari, ma a causa di una “coazione” (passatemi questo termine cacofonico) dei paesi “virtuosi” dell’Eurozona veicolata dalla forte pressione del Mercato, per quanto quest’ultimo abbia come preda vera (si deve star sempre attenti a parlare di predatori e prede quando si parla del Mercato…) l’intera Ue con le sue debolezze prima politiche e poi economiche.

Come, giustamente io credo, fa notare l’Economist, dopo il G20 della scorsa settimana, sono caduti due grandi tabù che hanno aperto scenari nuovi, e che senza dubbio non erano stati preventivati quando sono stati redatti i trattati costituenti l’Unione Europea. Dopo Cannes, in effetti, è stato chiaro che, da un lato, un paese membro può andare in default e di conseguenza lasciare l’Eurozona (ed in quel caso il soggetto in questione era la Grecia), dall’altro, che la politica comunitaria può agire deliberatamente nella politica interna di uno dei membri (il commissariamento dell’Italia e la pressione verso le dimissioni del Governo).

Ora, al di là dei giudizi di merito, che senza dubbio dovranno essere affrontati visto che ormai il polverone è stato sollevato, è chiaro che gli eventi ha soverchiato lo scenario democratico dell’Europa. I cittadini, infatti, in nessuna delle due situazioni sono stati chiamati ad esprimere il loro parere su quale sarebbe dovuta essere la via d’uscita (politica) allo stallo venutosi a creare. Nei fatti, quel faro di eguaglianza, laicità, e di mutuo soccorso, che dovrebbe essere la nostra casa Europea è come se avesse applicato una qualche legge marziale, un diritto di guerra nel quale l’occupante comanda in nome e per conto del popolo… popolo al quale, però, viene sospeso ogni diritto politico.

Pare brutto parlare così, eppure eppure, non è accaduto qualcosa di molto diverso. Non neghiamocelo.

Certo si può obiettare: right now the emphasis needs to be on firefighting, come fa notare l’Economist. Ed è sacrosanto, io credo. Combattiamo l’emergenza, con l’emergenza, salviamo il salvabile, ed è sia la medicina giusta, per quanto amara. Quando il fuoco sarà spento (sperando che della casa non resti che un cumulo di macerie!), dovremo contare i danni, ed iniziare a ricostruire. Sarà allora che il popol(in)o sarà ri-chiamato ad esprimersi sull’operato dei pompieri e della protezione civile, come l’ha chiamata qualcuno.

Se vogliamo che ognuno di noi non ricostruisca SOLO la propria casa, isolata da quella degli altri, e con regole proprie, dobbiamo accelerare il processo di integrazione europea, dobbiamo far capire alla comunità (vera), ai cittadini europei, che al di là delle differenze, al di là del virtuoso e del vizioso, al di là del biondo e del moro, al di là di quello del nord e di quello del sud, siamo tutti nella stessa barca e che una vera democrazia rappresentativa a livello continentale sarà possibile solo se basata su solide regole di politica monetaria, di bilancio comune e su quella Costituzione Europea, che ormai si è arenata dopo i mille referendum nei quali ha ottenuto sonore sberle.

Un tedesco potrebbe dirmi: “è facile parlare per te che sei italiano e che hai solo da guadagnare nel mutuare le buone pratiche di noi virtuosi.” Io, senza vergogna, gli direi di star bene attento perché con questi chiari di luna anche la sua casa non è al sicuro dato il sistema economico sanguinario che stiamo vivendo e che solo con una massa di almeno mezzo miliardo di persone – forse e ripeto forse – si può competere con le potenze emergenti e con gli Stati Uniti.

Non so se esista una leva in grado di spingere tutti noi europei verso l’accordo, ma voglio credere che ci sia. Certo, mettere da parte i nazionalismi è ben più difficile che andare sulla Luna, ma forse tra un paio di generazioni… Il vero problema è che non abbiamo tutto quel tempo, per cui diamoci una mossa e, per quanto viviamo in tempi non “troppo” democratici, sfruttiamo l’emergenza per conoscerci meglio, e magari legarci in modo più stretto e forte… Potremmo diventare gli “angeli del fango (metaforico, ovviamente) della democrazia europea”!

Ma – ahimé – forse è davvero solo un sogno.