Oggi sul Financial Times è uscito un articolo il cui titolo mi ha incuriosito: “Europe rests on Monti’s shoulders”.
Ho iniziato a leggerlo e, una volta tanto, si è risvegliato in me l’orgoglio di avere, dopo molto tempo, un Presidente del Consiglio credibile al punto da portare una vera ventata di ottimismo fin nella City dove, com’è noto, non siamo mai stati molto amati e rispettati.
Come è già successo, vi tradurrò le parole contenute nell’articolo di Philip Stephens, certo di dare uno spunto di riflessione anche a voi.
Magari, dopo aver letto l’articolo, potrete come me ingoiare l’amara medicina storcendo un po’ meno il naso.
L’Europa sta in piedi sulle spalle di Monti
L’Italia è tornata. Angela Merkel sta in testa alla classifica del potere in Europa. Il francese Nicolas Sarkozy può vantarsi di essere il leader più energetico del continente. Mario Monti è il più interessante. Dopo un’assenza durata un paio di decadi, l’Italia è ritornata sul palco. Il destino di Monti potrebbe essere il destino dell’intera Europa. Qualche giorno fa la Casa Bianca ha affermato che Monti a breve incontrerà Obama e descrivere questo annuncio come caloroso è quanto meno eufemistico. Monti ed il presidente americano discuteranno “dei provvedimenti generali che il governo italiano sta approntando per ristabilire la fiducia dei mercati e rinvigorire la crescita attraverso riforme strutturali, nell’ottica di un’espansione della difesa finanziaria dell’EZ”. Traducete e leggerete tra le righe che “il presidente Obama sta dietro a Monti in tutti i sensi, anche quando questi mette pressione alla signora Merkel”.
C’è stato un tempo in cui l’Italia aveva qualcosa da dire in Europa. Gli Italiani sono stati campioni nel grande sforzo di integrazione degli anni Ottanta. Il summit di Milano del 1985 fornì la spinta verso il mercato unico. Cinque anni dopo in un meeting a Roma si approntò la tabella di marcia per l’entrata in vigore dell’Euro. Questo fornì le condizioni per la caduta di Margaret Thatcher: il suo “No, No, No” alla moneta unica portò allo scontro nei Tories. Per quanto possa apparire strano, un tempo i Conservatori inglesi erano per la maggior parte europeisti.
L’era di Silvio Berlusconi ha messo fine all’influenza italiana. Sebbene egli avesse sempre ricevutoo un caloroso benvenuto da Vladimir Putin, i principali leader europei lo hanno sempre evitato in quanto era visto come fonte d’irritazione ed imbarazzo. Monti, un accademico serio con un piano altrettanto serio, è differente secondo tutti i punti di vista. Berlusconi faceva rozze battute sulla signora Merkel, Monti parla con lei di questioni economiche.
C’è un altro italiano, poi, al tavolo principale. Mario Draghi – l’altro Mario – ha fatto suoi i titoli delle principali testate nella sua ancora breve presidenza della BCE. Per quanto voglia l’ortodossia economica, egli ha presentato se stesso come un vero tedesco. Sebbene la sua direzione abbia lanciato una grande operazione di rifinanziamento, una sorta di quantitative easing, egli è riuscito a scaldare il sistema bancario ed ha portato una relativa calma sulle piazze finanziarie. L’argine della BCE non sarà permanente, ma ha creato spazio per i politici per negoziare il prezioso accordo fiscale caldeggiato dalla signora Merkel.
Per quanto ci siano ancora grosse nubi sulla Grecia, ci sono segnali che la crisi dell’Euro sia passata almeno dalla fase acuta a quella cronica. La questione è tutta sulle spalle di Monti dato che le prospettive di lungo termine dell’Euro si decidono proprio in Italia. Se la Grecia dovesse cadere sul lato della carreggiata, Spagna, Portogallo ed Irlanda si troverebbero proprio sulla linea di fuoco, ma sarà l’Italia il vero snodo della questione. Se la terza più grande economia dell’EZ non riuscirà a tracciare un percorso economico credibile, l’Euro inteso come progetto pan-europeo non avrà un futuro.
Monti ha una coppia di assi nella manica. Le misure di austerità si stanno già rivelando impopolari, ma i politici italiani eletti non mostrano di essere in gran forma. Berlusconi spara dalle retrovie, ma la sua coalizione di centro destra sarebbe distrutta d’un colpo in un’elezione a breve termine. Monti può quindi pensare di avere un altro anno a disposizione, fino alle elezione della primavera del 2013, per approntare la sua strategia e farla correre. La seconda carta che Monti può giocarsi è di poter parlare francamente al potere politico tedesco. Il suo curriculum di riformatore liberale, affermatosi nel corso degli anni alla Commisione Europea, è indiscutibile. La sua condotta mette in discussione lo stereotipo dell’uomo del sud-Europa come inconcludente e pigro. E Obama lo appoggia quando Monti afferma alla signora Merkel che il rigore indefinito potrebbe trasformare il patto fiscale in un vero e proprio suicidio.
Sospetto al contrario che Sarkozy soffra l’intrusione di Monti. Il presidente francese non è uno da condividere le luci della ribalta. Finora Parigi si è avocata la leadership nel patto franco-tedesco, ma, in realtà, la chimica tra il presidente francese ed il cancelliere tedesco è tutt’altro che buona. Come spesso succede, adesso Sarkozy ha più interesse per il successo di Monti più che del suo. Sebbene abbia incontrato le élite francesi al recente colloquio anglo-francese, non credo molto nella loro insistenza nella sopravvivenza dell’Euro come di un fatto essenziale. Quello che intendono, penso, è che un’eventuale rottura della moneta unica vedrebbe la Francia costretta nell’Europa di serie B così da privarla di ogni rimanente velleità sul piano dell’influenza globale.
Non ci sono garanzie che Monti abbia successo. Grandi tagli alla spesa e l’incremento nella tassazione sono una cosa, ma la vera sfida è rappresentata dalla liberalizzazione dell’economia. Su questo piano egli deve confrontarsi con un coacervo di attività che chiudono (o chiuderanno), pratiche restrittive e cartelli “affittasi”. Questa settimana le città italiane sono state gettate nel caos dallo sciopero dei tassisti e dei camionisti. Avvocati, farmacisti e distributori di benzina affilano le armi contro il piano che prevede di cancellare i loro privilegi. Non sarà facile. Queste scelte sono inevitabili. Il dibattito sul futuro dell’EZ èdisperatamente polarizzato. Da un lato stanno coloro che credono che l’impresa potrà aver successo soltanto se il cattolico sud-Europa assorbirà la cultura protestante del nord fatta di parsimonia e duro lavoro. Dall’altra stanno coloro che credono che l’unica via verso il successo sia convincere i tedeschi a spendere ed indebitarsi di più sottoscrivendo i debiti dei loro vicini del sud. Entrambi i ragionamenti, purtroppo, sono però completamente ingenui. La sfida che affronta l’Europa cristallizzata dalla crisi dell’Euro è di adattarsi in un mondo in cui il Vecchio Continente non è più in grado di dettare i rapporti commerciali.
Politici ed economisti possono argomentare tutto quello che vogliono riguardo ai meriti e demeriti della svalutazione e affinamento del bilanciamento tra rettitudine fiscale e supporto della domanda, ma l’unica vera questione è se l’Europa possa davvero competere in un mondo in cui l’Occidente non avrà più la grande influenza del passato ed è proprio in quest’ottica che quello che sta facendo Monti in Italia conta davvero.